Una scena di Pecore in erba

Alla scoperta di un nuovo Borat

Mariarosa Mancuso
Il film si chiama “Pecore in erba”, è stato presentato al Festival ed è la storia magnifica e paradossale di un ragazzo che porta all’estremo i pregiudizi sull’antisemitismo. Si ride a Venezia, ed è già una notizia.

Getta l’ebreo nel pozzo / acchiappalo per le corna / e la mia nazione sarà libera”. Era il motivetto country cantato da Borat – con chitarra, stivali, cappello da cow boy – in un localaccio dell’America profonda. Tempo due ritornelli, tutti battono le mani e cantano in coro assieme a lui (no, non erano comparse, era gente vera che si stava bevendo la birra). Nello stesso film Sacha Baron Cohen, sempre con i baffoni di Borat – reporter arrivato in Usa dal Kazakistan, dove si organizzano per diletto “corse degli ebrei” – finisce in un bed and breakfast gestito da una coppia di anziani, e lui porta la kippà. Terrorizzato, rifiuta il cibo. Quando da sotto una porta sbuca uno scarafaggio, Borat cerca di ingraziarselo lanciandogli banconote.

 

Lo spirito di Borat aleggiava sulla mostra di Venezia domenica scorsa, quando abbiamo visto “Pecore in erba”. Ridendo parecchio, e ai festival succede di rado: sono sempre tutti convinti che senza sbadigli non si danno né serietà né intelligenza né tantomeno arte cinematografica. Capita altrettanto raramente – e questo anche fuori dai festival – di imbattersi in qualcosa che possiamo a buon diritto chiamare “satira”. Decine e decine di imitazioni hanno rovinato il gusto e cambiato il significato della parola. Uno dice “Checco Zalone fa satira”, e si fa due categorie di nemici. Quelli che espongono aspirapolvere al museo (e di aspirapolvere esposti al museo qui alla Mostra di Venezia ne abbiamo visti parecchi). Quelli che ridevano solo di Berlusconi.

 

Satira, usando il mockumentary come arma. Opera prima di Alberto Caviglia (la sceneggiatura è firmata dal regista con Benedetta Grasso e Paolo Cosseddu), “Pecore in erba” è un finto speciale televisivo su Leonardo Zuliani, giovanotto di gran fama al momento scomparso. Trepida per il suo destino l’Italia tutta, stringendosi alla famiglia, ai vicini, ai fan con lo striscione “Je suis Leonard”. Si capisce che il ragazzo è molto amato, e considerato un combattente per la libertà. Presto scopriamo che ha speso l’intera sua vita battendosi per la libertà di antisemitismo.

 

Il documentario procede con il passo delle agiografie dedicate a chi si batte per i diritti delle donne, dei gay, o di qualsiasi altra minoranza. Vocazione sicura e precoce (“già all’asilo era diverso dagli altri bambini”) coltivata mentre gli altri cercano di reprimerti. Multiforme ingegno: il diritto all’antisemitismo, in questa nostra epoca postmoderna e digitale, mica si può rivendicare con i vecchi mezzi. In uno dei tanti camei – molte celebrità, Fabio Fazio incluso, partecipano al mockumentary facendo il verso anche a se medesime – Carlo Freccero celebra le qualità mediatiche e le invenzioni di Leonardo Zuliani. Posto nella storia saldamente conquistato, riconosciuto dagli amici e soprattutto dai nemici: “Nessuno ci perseguiterà più come lui”, dice con nostalgia il capo della comunità ebraica.

 

Nelle sale dal 24 settembre, “Pecore in erba” adotta e porta all’estremo i pregiudizi antisemiti. E del resto siamo avvertiti fin dalla prima inquadratura che è prodotto dalla lobby ebraica: la stessa che, secondo Sarah Silverman, “possiede tutti i giornali ma non è riuscita a salvare il nostro buon nome nella faccenda di Gesù Cristo”. Gli ebrei hanno ucciso J. F. Kennedy e la mamma di Bambi. Non bastasse, friggono i carciofi: il film è tanto universale quanto trasteverino, con la mamma addetta alle lasagne (papà è uscito una sera per noleggiare una videocassetta, e nessuno l’ha visto più).

 

[**Video_box_2**]Conosciamo parte della storia da un film in bianco e nero intitolato “Paura di odiare”, vita e imprese – anche commerciali, suo un pratico kit per bruciare la bandiera di Israele, non c’è bisogno di procurarsi a parte la benzina – di Leonardo Zuliani (qui i camei sono di attori: la mamma è Margherita Buy, la fidanzata Cristiana Capotondi). La lotta per la libertà di antisemitismo prevede una revisione della Bibbia, un fumetto con gran schizzi di sangue (ispirato al compagno di scuola che Leonardo bambino amava picchiare), un best-seller intitolato “La morte corre da Sion”, celebrato da Giancarlo De Cataldo: “Sconcertanti verità”, spiega serioso, nell’inquadratura tipica dello scrittore in tv.

 

Oltre al ribaltamento dell’antisemitismo in virtù, fa ridere la precisione del linguaggio. Gianni Canova, con il perfetto tono del critico che sdogana “Viva la foca”, celebra pellicole come “L’usuraio licantropo” e “Forni felici”. Fa ridere la “Lega nerd”, con i suoi striscioni in latino: odiano gli immigrati perché fanno i lavori facili, mentre loro sono costretti a lavorare da ingegneri.

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