Come suona “el sistema”
Geoffrey Baker è un ricercatore del dipartimento di Musica della Royal Holloway University of London. Le sue passioni sono la musica e l’America latina. Su questi due temi concentra i suoi studi. Lunghi viaggi in aereo per le sue ricerche. E’ in uno di questi viaggi che Geoffrey incontra “El Sistema”. Tra le mani un articolo che spiega il successo di un nuovo modello didattico che utilizza la musica per fornire la possibilità di un riscatto sociale per le classi più povere del Venezuela. L’aereo è già in quota quando Baker decide di conservare quell’articolo. Sarebbe interessante approfondire l’argomento, pensa un po’ stanco tra sé e sé. Forse un giorno, ora sono troppi gli impegni. Intanto gli occhi si fanno pesanti e la stanchezza prende il sopravvento. E’ l’anno 2000. Geoffrey Baker, ricercatore universitario, ha appena conosciuto l’argomento che diventerà il pallino della sua ricerca. Della sua vita.
1975, Caracas. E’ nelle miti notti della capitale venezuelana che prende forma il progetto “visionario” di José Antonio Abreu, musicista con la passione per la politica e per l’economia. La musica per tutti. Che ogni città del Venezuela abbia un coro e un’orchestra. Che ogni giovane orchestrale possa avere uno strumento musicale. “Volevo essere un musicista e lo sono diventato”, così Abreu alla consegna del premio TED (Technology Entertainment Design) nel 2009. “Desideravo che ogni bambino del mio paese avesse la mia stessa opportunità. Avevo ricevuto cinquanta leggii, una donazione molto generosa. Pensavo: se fossero anche cento, potrebbero suonare due per leggio. Al primo incontro si sono presentati in undici. A quel punto mi sono detto: o chiudo il programma o lo moltiplico per mille. Ho preferito la seconda”. Un carisma eccezionale. Abreu, scaltro nei rapporti, testardo nelle idee. Negli anni la sua figura si ammanta di un alone misterioso fino a incutere un timore reverenziale: quasi un santone. Uno capace di guardare più avanti degli altri, come lui stesso dice: “Fin dalla prima prova ho visto il futuro che mi si prospettava. In quella prima prova ho visto la grandezza della sfida che avevo davanti”. L’alone mistico-esoterico è esaltato dal prodotto più pubblicizzato del Sistema: Gustavo Dudamel, uno dei direttori d’orchestra più in voga in questo momento. Intervistato da Shirley Apthorp per il Financial Times nel 2013 Dudamel sentenzia: “Abreu ha cambiato la vita di centinaia di migliaia di persone, compresa la mia. Quando lui ti guarda, non guarda te per come sei ora. Ti vede tra dieci anni”.
“El Sistema” è incentrato su un principio semplice: l’orchestra e il coro sono molto più che strutture artistiche; “sono esempio e scuola di struttura sociale […] Nelle orchestre vi è una rigorosa disciplina basata sulla cooperazione e condivisione e si coltivano valori estetici ma anche etici”. Abreu sostiene che il Sistema si rivolge in particolare a quelle fasce della società molto deboli. La musica come possibilità di riscatto sociale, trasformazione culturale, capace di influenzare le “tre sfere principali della persona: personale-sociale, famigliare, comunitaria”. Un programma rivolto ai deboli che “grazie al valore spirituale della musica, sono redenti dalla povertà materiale”. Il Sistema avrà una crescita rapida negli anni. Sempre più adepti. Nelle città proliferano gruppi vocali e strumentali. Centinaia di migliaia. Manca però qualcosa.
Sarà la Carnegie Hall (uno dei teatri più importanti del pianeta) nel 2007 a conferire la definitiva consacrazione internazionale. Gustavo Dudamel dirige L’Orquesta Sinfónica Simón Bolívar, composta da ragazzi tutti cresciuti nel Sistema: il risultato più strepitoso del programma Abreu. L’attenzione dell’opinione pubblica è massima. Un capillare lavoro pubblicitario rende l’evento planetario. Trovare un biglietto per quel concerto è praticamente impossibile. Il programma della serata: il “Concerto per orchestra” di Béla Bartók, il “Carnevale Romano” di Hector Berlioz e, per finire, la Quinta Sinfonia di Ludwig van Beethoven. In chiusura, i musicisti si sfilano l’abito da concerto e rientrano in scena, per un bis, con comode tute color bandiera venezuelana (con tanto di otto stelle). Anche Dudamel non si sottrae al cambio d’abito. E via con il Mambo tratto da “West Side Story” di Leonard Bernstein. Il teatro è in delirio, i musicisti suonano in piedi. Giocano, scherzano. Sono un tutt’uno con il pubblico in sala. Circa venti minuti d’applausi ininterrotti. Tra il pubblico c’è anche Geoffrey Baker. Son passati sette anni da quell’incontro in “alta quota”. Questo concerto sancisce l’inizio della sua ricerca.
“Non potevo non iniziare a studiare questo fenomeno”, dice in esclusiva per il Foglio. “Quel concerto mi era veramente piaciuto. L’orchestra mi aveva trasmesso una forte carica emotiva. Avevo avuto un’ottima impressione. Da ricercatore quindi, volevo capire tutti gli aspetti di questo sistema. I giorni successivi ho cercato informazioni. La prima sorpresa è stata non trovare alcuna recensione, articolo, studio che riportasse fonti attendibili, informazioni scientifiche. Non esistevano poi pareri negativi. Il Sistema sembrava impeccabile. Nessuna critica da parte di alcuno”. Sei mesi di tempo per organizzare il lavoro e Baker decide di spostare la sua ricerca sul campo. L’ennesimo volo. Questa volta direzione Caracas.
“Ho iniziato la ricerca per trovare solidi elementi scientifici a sostegno del Sistema. Dietro dei ragazzi che suonano così bene, ci doveva essere qualcosa da documentare”. Geoffrey Baker decide, come primo passo, di recarsi presso gli uffici del Sistema in modo tale da poter consultare l’archivio. “Alla mia richiesta di visionare i documenti mi è stato risposto un secco no. Non per cattiveria ma perché il Sistema non ha nessun archivio. In Venezuela effettivamente il concetto di archivio è molto relativo e quei pochi agglomerati di documenti spesso sono incompleti e disordinati anche nelle biblioteche nazionali. Una reazione del genere mi è sembrata però alquanto strana. E’ stato molto difficile trovare documenti scritti che tracciassero i primi trent’anni di vita del Sistema”. Interdetto, il professore decide allora di sondare i “nuclei”, così sono definiti i gruppi corali e orchestrali dei vari paesi, e conoscere personalmente le persone coinvolte. Anche in questo caso le difficoltà non mancano perché la gente è restìa a parlare oppure si cela dietro una sorta di copione da recitare ad arte. Geoffrey insiste. Riesce così a incontrare alcuni tra ragazzi, insegnanti, molti dei quali però pretendono l’anonimato. E’ qui che nella mente dello studioso affiora un dubbio: se non fosse tutto vero? Se il Sistema presentasse delle contraddizioni che è preferibile nascondere?
“Approfondivo la ricerca e venivano fuori notizie sconcertanti. Il programma è sì rivolto alle fasce più disagiate della società, ma vede al suo interno moltissimi ragazzi appartenenti al ceto medio-alto. Anche il lavoro in orchestra non è così sereno e edificante come lo stesso Abreu ripete”. Prove orchestrali massacranti, pubbliche umiliazioni per chi non eccelle nello strumento e nella direzione. “Più che un’orchestra è un campo militare”, scriverà Baker in un articolo sul Guardian nel novembre 2014. I ragazzi inseriti nel Sistema hanno ritmi di lavoro estenuanti, tournée continue e quasi nessuno riesce ad avere attività alternative. Chi ha talento rimane, chi non è dotato è “invitato” a lasciare il progetto. “Se qualcuno decide di abbandonare il Sistema per un certo periodo, non è più riammesso”. Dal punto di vista pedagogico Baker rileva quanto El Sistema sia antiquato e conservatore. “Non vedo nulla di rivoluzionario in termini di apprendimento artistico. Tutto è basato sulla disciplina, sull’obbedienza e poco spazio al pensiero critico e alla creatività. Non c’è nessuna attenzione alle nuove scuole sulla didattica musicale. All’interno del sistema ci sono importanti dinamiche di potere. Si tratta di un’istituzione gerarchica, autocratica. Sia le risorse umane che quelle economiche sono incanalate verso il vertice dell’organizzazione. L’obiettivo è formare queste ‘orchestre spettacolo’ che devono girare per il mondo e conquistare il pubblico”.
Anche l’aspetto economico del Sistema presenta non poche criticità. Lontano dalle telecamere e dalle delegazioni ufficiali ci sono tanti insegnanti scontenti, pagati a ore e con pochi benefici. Nessuno sembra essere preoccupato per la loro condizione. Eppure i soldi non sono mai mancati al Sistema, soprattutto dopo quel fatidico concerto alla Carnegie Hall che rafforzò anche l’appoggio incondizionato e il controllo di Hugo Chávez. E’ coeva al concerto la pubblicazione di uno studio effettuato dall’ IDB (Inter-America Development Bank) che evidenzia come per ogni dollaro investito nel Sistema, si ha un guadagno netto di 1,68 dollari per il Venezuela. Sulla base di questi dati l’IDB propone un finanziamento di centocinquanta milioni di dollari per il progetto. A fronte di una cifra così sproporzionata e sulla base di un nuovo studio più approfondito fatto da alcuni membri un po’ scettici della IDB sul rapporto costi-benefici del Sistema, si decide di stanziare un milione di dollari e di attendere risultati più certi a fine 2013. Il giornalista Igor Toronyi Lalic, su Classical Music Magazine nel 2012 dice: “Non vi è alcuna prova che il Sistema venezuelano funzioni, come anche il suo principale finanziatore, la BIS (Bank for International Settlements che collabora a stretto contatto con l’IDB, ndr), ammette. Per di più, sembra chiaro che non ci siano dati certi sino a fine 2013”. Baker aggiunge: “A marzo 2015 questi dati non erano ancora disponibili”.
[**Video_box_2**]Storicamente il binomio musica e politica è sempre stato critico. Il Sistema non è da meno. Fin dall’origine Abreu ha dichiarato di essere in dialogo con tutte le forze politiche: il Sistema è uno strumento del popolo, sostenuto dal potere. Di tutt’altro parere Hugo Chávez che di El Sistema rivendica addirittura la paternità. A denunciarne l’illegittima appropriazione sarà apertamente la pianista venezuelana Gabriela Montero sulle colonne del New York Times: “Chávez si è impadronito del Sistema”. Nel 2010 Chávez, con il benestare di Abreu, affida il controllo diretto del Sistema al suo ufficio di presidenza. Sempre più di frequente sia Abreu sia Dudamel compaiono in pubblico col dittatore. Nell’estate 2011, durante le celebrazioni per il bicentenario dell’indipendenza del Venezuela, Dudamel dirige un gruppo di orchestre nate dal Sistema, sovrastato da un maxi schermo che proietta la foto del Dittatore con una scritta: “¡Pa’lante Comandante!” (Avanti, comandante!). Durissimo il commento di Saúl Godoy Gómez, editorialista del quotidiano El Universal: “Le orchestre venezuelane sono state utilizzate come coperture; un grottesco spettacolo per coprire uno dei governi al mondo che più viola i diritti umani”. Gli farà eco Eduardo Casanova, scrittore venezuelano: “L’acquisto delle coscienze ha raggiunto l’ultimo tassello mancante: la musica”. Lo stesso Abreu tenterà di smontare queste accuse dalle colonne del New York Times: “Siamo in un paese libero dove ognuno può esprimere le proprie opinioni. Il nostro rapporto con lo stato è molto semplice. I nostri bambini hanno il diritto, il diritto costituzionalmente determinato, di educazione musicale. […] Mi sento in un paese democratico e libero e non ho mai sentito alcuna pressione politica”. Nel medesimo intento di sedare le polemiche anche il maestro Dudamel afferma pubblicamente che “come orchestra, noi dobbiamo fare il meglio per il nostro paese. Stiamo dando un’educazione ai nostri figli”. Anche con il governo di Nicolas Maduro il Sistema ottiene ingenti finanziamenti. Baker non si capacita: “Il Venezuela è ormai da anni in una profonda crisi, il paese è al collasso, ma Maduro, ‘degno’ successore di Chávez, continua a elargire fondi al Sistema. Molte tournée sono finanziate dal governo che ne ha fatto un modo di fare propaganda planetaria”.
Il “modello” Abreu, con le orchestre, i cori e tutta la valanga di ideologia del “è un diritto” che lo accompagna, si è diffuso in tutto il mondo, anche in Italia.
In queste ultime settimane l’Orquestra Sinfónica e il Coro Nacional Juvenil Simón Bolívar diretti da Dudamel si sono esibiti al Teatro alla Scala di Milano in una lunga serie di concerti sinfonici e operistici (e sono in tournèe attorno al mondo per celebrare il loro quarantesimo anniversario). A dare man forte a El Sistema in Italia vi fu Claudio Abbado. Ne ha fatto un suo progetto, una bandiera da sventolare in qualsiasi occasione. “La più grande, rivoluzionaria idea musicale degli ultimi decenni”. Abbado ha sposato l’idea di Abreu che la musica riscatti la povertà materiale, ponendosi al servizio del Sistema e mettendo a disposizione tutte le sue conoscenze culturali e politiche. Così aveva scritto Giulio Meotti su queste colonne: “Con Claudio Abbado, Maurizio Pollini ma anche Accardo e altri musicisti, in collaborazione con i sindacati e la scuola, Luigi Nono elogiava la ‘funzione sociale’ della musica”. Abbado non ha mai nascosto il suo “amore” per il governo Chávez ma anche per quello di Fidel Castro. Nel 2010 in un’intervista alla Stampa esprime apertamente tutto il suo “castrismo”: “Penso che certi aspetti del sistema (cubano ndr) siano ammirevoli e che molte critiche siano fatte senza conoscere i fatti. A Cuba, per esempio, il sistema scolastico è ammirevole, un modello per tutti. Ma nessuno lo dice. Sa qual è una delle maggiori esportazioni di Cuba? I medicinali, e molti vanno in Africa gratis. Ma nessuno lo scrive.” E al cronista che gli ricorda i gulag di Castro, risponde:” Ma quali? Dove?” Ancora Meotti: “Abbado organizzò una grande festa di mezzanotte per il compleanno di Fidel Castro nel bunker del Consiglio di stato dell’Avana. Il ‘comandante’ celebrò i settantatré anni assieme al direttore italiano e alla Gustav Mahler Jugendorchester, commuovendosi quando i fiati dell’orchestra europea gli improvvisarono un allegro – con variazioni – ‘Happy birthday to you’. Un momento musicale che fece arrossare gli occhi al dittatore caraibico”.
La testimonianza di Abbado nel Sistema culminerà in due importanti pubblicazioni: “La musica salva la vita” di Ambra Radelli (Edizioni Feltrinelli) e il film-documentario “L’altra voce della musica” di Helmut Failoni e Francesco Merini. Due manifesti dell’Abbado-pensiero, l’esaltazione di “un nuovo umanesimo, concreto e tangibile” che sta crescendo lontano dall’occidente cui l’occidente dovrebbe guardare. Nell’introduzione al testo della Radelli, Abbado esalta il Sistema, si complimenta con il governo venezuelano che lo sostiene, si compiace che il Sistema stia facendo capolino anche in Italia e cita Roberto Saviano come testimone coraggioso di quante sacche di povertà e delinquenza potrebbero beneficiare di una politica come quella venezuelana.
Nel 2014, tutto il lavoro di Geoffrey Baker è pubblicato nel libro “El Sistema: Orchestrating Venezuela’s Youth” edito dalla Oxford University Press. Trecentosessantadue pagine che raccolgono anni di ricerca. La pubblicazione sarà duramente criticata da molta stampa internazionale. L’accusa più diffusa mossa a Baker è di essere prevenuto nei confronti di un sistema che “salverà la musica classica dall’oblio” e sta salvando migliaia di poveri. Geoffrey Baker sorride amaro. Sul proprio blog (puntualmente attaccato da hacker) riporta tutte le recensioni e cerca di rispondere con precisione alla accuse che gli sono rivolte. “Sono contento che quantomeno si sia aperto un dibattito” ci dice salendo sull’ennesimo volo, già pronto per nuove ricerche.