La strada delle Fiandre

Giorgia Mecca
Claude Simon, Neri Pozza, 267 pp., 14 euro

    E’ il maggio del 1940 e la Francia è appena stata invasa dall’esercito nazista. Qualcuno ancora non lo sa e chiede dove sia il fronte. “Povero fesso – gli rispondono urlando – Il fronte non c’è più, ormai non c’è più niente”. La Francia ha perso prima ancora di riuscire a combattere. Claude Simon, l’autore di questo romanzo pubblicato per la prima volta nel 1960, ha imparato a conoscere la guerra prima di ogni altra cosa: non aveva nemmeno un anno quando suo padre cadde nella battaglia di Verdun del 1914. Anche lui diventò un soldato, come tutti in quegli anni. Nella strada che percorre le Fiandre, quello che resta di un esercito – tre uomini con l’aria scavata di chi non si ricorda più quand’è stata l’ultima volta che ha mangiato – stanno cominciando la ritirata sotto un’oscurità che non dà fastidio a nessuno. A che cosa serve la luce del Sole il giorno dopo aver perso la guerra?. “Ci tieni tanto a vederle le nostre sporche facce di vigliacchi di vinti?”. George cammina e non risponde. Poco prima ha visto morire il suo superiore, il capitano de Reixach. E’ caduto tutto a un tratto “come un soldatino di stagno che comincia a sciogliersi”. Anche quel giorno de Reixach aveva lucidato i suo stivali, il nodo della sua cravatta era perfetto, proprio come se non fossero sotto la pioggia pronti per perdere la guerra. Il capitano se ne stava perfettamente in equilibrio sul suo cavallo, intento a brandire la sua inutile sciabola. In realtà non aspettava altro che la morte, George l’aveva capito e non riusciva a spiegarsi come mai. Intorno a loro i cani mangiano il fango, piove a dirotto e il sangue di un cavallo ucciso sembra essere ancora fresco, le mosche gli girano intorno. Il tempo non passa mai. I tre uomini ormai non somigliano in niente a dei soldati, indossano un’uniforme così grossa da sembrare una presa in giro. Non hanno nient’altro che i loro ricordi e tutte le parole “inventate nella speranza di rendere commestibile l’innominabile realtà”. Il passato non si dimentica mai di niente. Così, seduti intorno a un fuoco clandestino, aspettando di poter riprendere il loro cammino per chissà dove, a George, Blum e Iglesia ritorna in mente ogni cosa, e ogni cosa – persino il corpo nudo di una donna – si confonde con la guerra. Innanzitutto la famiglia de Reixach: i loro blasoni, le dicerie e i pettegolezzi malevoli. C’è Corinne, la giovanissima moglie del capitano, una bambina con gli occhi pieni di perfidia, l’immagine stessa di ciò che dovrebbe essere una donna. Iglesia lo sa bene. C’è una vecchia leggenda su un antenato di de Reixach: un uomo dalle mani curate che “nello scoramento di una notte lontana, aveva premuto il grilletto dell’arma rivolta contro lui stesso”. Ci sono le lettere del papà di George che pensa sempre a lui e a questo maledetto mondo in cui “l’uomo si accanisce a distruggere se stesso non solo nella carne dei suoi figli ma anche in quello che ha potuto fare, lasciare, tramandare di meglio”. Ormai è tardi per pensarci però: è stato tutto distrutto. “L’abbiamo fatta davvero la guerra?”, si domanda qualcuno. Intorno ai tre soldati il cannone batte sporadico e il mondo pur essendo fermo e immobile crolla a pezzi poco a poco “come un edificio abbandonato”. De Reixach l’aveva capito prima di tutti: non c’era proprio alcun motivo di evitare la morte. Claude Simon ha ricevuto nel 1985 il Nobel per la Letteratura. Nella vita aveva visto tutto ciò che c’era da vedere, eppure a settantadue anni non era ancora riuscito a coglierne il senso: “Forse, come diceva Shakespeare, se il mondo significa qualcosa, è che non significa niente, tranne che esiste”.    

     

    LA STRADA DELLE FIANDRE
    Claude Simon
    Neri Pozza, 267 pp., 14 euro