“Via quella trama sessista”. La battaglia di genere colpisce Pocahontas
Roma. “Una donna indiana d’America è promessa sposa del guerriero più forte del villaggio, ma anela a qualcosa di più e incontra il Capitano John Smith”. Questa è la trama del film di animazione Disney “Pocahontas” che fino a poche settimane fa appariva sulla piattaforma di film in streaming Netflix e che, da qualche giorno, è stata modificata – meglio dire corretta – così: “Una giovane ragazza indiana d’America prova a seguire il suo cuore e proteggere la sua tribù quando i coloni arrivano e minacciano la terra che ama”. Nessuna delle due dichiara il falso, ma la prima peccava di sessismo, maschilismo, lascivia e nel caso non abbiate ravvisato nemmeno uno dei tre tarli dovreste fortissimamente lavorare sul vostro ottundimento intellettuale.
“L’uso di donna e anela è disgustoso. Suona come la descrizione di un porno o di un pessimo romanzo d’amore”, ha scritto su Twitter, lo scorso primo settembre, Adrienne Keene, tenutaria del blog Native Appropriations, che tenta di tutelare, inorgoglire, promuovere l’etnia degli indiani nativi americani. Oltre a contestare l’uso di “donna” (non è specificato se per coerenza narrativa, essendo Pocahontas un’adolescente o per denuncia del fatto che “donna” è una sovrastruttura culturale, padronale, patriarcale) e di “anela” (il verbo inglese è yearns, che significa anche bramare e languire, classiche azioni da Donna Reed, quella che negli anni Sessanta andò in onda tutte le sere, sulla tv americana, con uno show nel quale a null’altro anelava se non a preparare la cena al marito ed essere perfetta senza mai imprecare), Adrienne Keene si è infuriata perché quel plot era ricavato dal calco della principessa Disney, la svenevole bionda nel cervello capace soltanto di innamorarsi di un maschio alfa kaloskaiagatòs e seguirlo, sebbene le virtù civiche e l’intraprendenza di Pocahontas siano universalmente riconosciute. I tweet della blogger hanno avuto un’eco vasta e Netflix, dopo una settimana di accuse e menzioni sui social network, ha recepito il messaggio, fatto ammenda e inserito la modifica. “E c’è ancora qualcuno che definisce i social media una perdita di tempo”, ha scritto Sara Boboltz in calce al suo articolo sull’Huffington Post America, in cui ha raccontato la vicenda. Che il popolo del web formuli emendamenti, intervenga sul senso comune, stigmatizzandolo o galvanizzandolo e ottenga non solo proseliti, ma risultati concreti (cioè che, in definitiva, le chiacchiere che ospita abbiano più pregnanza di quelle scambiate nei bar, nelle piazze, dove ci sono il pressappochismo e il populismo, ma ci sono pure la dialettica, le sfumature e i dettagli) è assodato.
[**Video_box_2**]Su Twitter e sulle trame di Netflix, non c’è abbastanza spazio per dire un sacco di cose. Per esempio che quando il capitano Smith chiede a Pocahontas di seguirlo in Europa, lei risponde “sono più utile qui”. Che lei confonde l’oro con le pannocchie. Che toglie a Smith il vizio di chiamare “selvaggio” tutto ciò che non è come lui e come l’Inghilterra. Nel tentativo di restituire una sintesi più fedele alla parità di genere che alla storia, Netflix ha omesso un dettaglio fondamentale: è l’amore per Smith a rendere chiaro a Pocahontas che persino ai coloni si può tendere la mano. L’amore per la sua terra e per il suo popolo, invece, senza l’amore per Smith, l’avrebbero solo incitata alla difesa e alla guerra. E’ questa la specificità delle eroine: usare l’amore per un solo uomo, per salvarne decine, centinaia, forse migliaia, decisamente di più di quanti ne salvino le donne in carriera. Nemmeno questo entra nei tweet e nelle sintesi di Netflix, tuttavia possiamo ancora sperare che, se i lettori si fermano ai titoli, almeno gli spettatori vadano oltre i riassunti delle trame.