Talk show e Rambo. Situazione indignata, ma non seria
La situazione è indignata ma non seria. Lo si capisce guardando Massimo Giannini che da Ballarò risponde a Matteo Renzi, colpevole di aver preferito la sceneggiatura di “Rambo” al suo talk-show. Dietro di lui, un occhio di Sylvester Stallone con la bandana da veterano del Vietnam – tale era John Rambo, prima che diventasse per tutti sinonimo di “cieca violenza” – risultava molto più interessante della sfuriata retorica.
Detta sfuriata era condotta in nome del Giornalismo, inteso come Missione che sveli le Contraddizioni dentro i Poteri, alla ricerca di Notizie Scomode, perché noi non facciamo Narrazioni. L’occhio di Rambo sulla parete era sempre più vispo (se vi viene in mente la parola “autogol”, non saremo certo noi a darvi torto). Lo stesso non si poteva dire del nostro, di occhio, se non per l’affannosa ricerca di un taccuino dove annotare “Ma questi che sputacchiano sulla Narrazione, lo sanno che la parola non l’ha inventata Nichi Vendola? E si rendono conto che la usano con la smorfia schifata con cui il Consumismo viene contrapposto ai sani valori contadini?”.
Ovvio che poi gli ascolti precipitano, e “Rambo” rivince. Vince dal punto di vista dei numeri: 5.5 contro Ballarò che sta un punto sotto, mentre Giovanni Floris con Dimartedì fa il 4.7. (Giannini cercava intanto un cenno d’intesa con lo spettatore, segnalando: “Renzi ce l’ha soprattutto con gli show del martedì”). Vince dal punto di vista dello “storytelling”: anche il più scarso dei registi e degli sceneggiatori americani (e non è il caso di “Rambo”) sono più interessanti della compagnia di giro seduta sulle poltroncine dei talk-show, e degli autori dietro le quinte dei medesimi. Programmi che peraltro si moltiplicano con una velocità da amebe: basta distrarsi un attimo e ne troviamo due al posto di uno. Non perché il paese abbia ’sta smania di essere informato. Perché in Italia ogni giornalista sogna il suo talk-show – le parole “Pinco Pallo conduce in studio” sono dolcissime alle orecchie di chiunque. Perché in Italia si registrano come format anche le interviste, e la volta che qualcuno tirerà fuori un’ideuzza televisiva sicuramente sbancherà l’audience.
“Balle spaziali e retropensieri”: questo il tweet di Matteo Renzi, lo scorso gennaio, primo attacco verso i programmi parolai. Mancano gli sbadigli che hanno accompagnato 47 35 Parallelo Italia, vantato dal conduttore Gianni Riotta come l’evoluzione della specie (andando avanti così, la specie sparirà più veloce del panda). Lì Matteo Renzi si è fatto intervistare a lungo, dimostrando così di non essere infallibile in materia di critica televisiva.
Accusarlo di voler chiudere i talk-show perché gli remano contro, è una reazione da indignati speciali.
L’affanno dei talk-show traspare dalle interviste di Fabio Fazio sul nuovo Che tempo che fa. Il conduttore per rilanciare cerca di spacciarsi come cinico. Viene per un attimo il sospetto che lo sia veramente: certi libri mediocri che ha spacciato in questi anni per capolavori, e certi personaggi altrettanto mediocri che ha fatto diventare star, si giustificano solo con un odio profondo per la letteratura e per il cinema. La puntata del sabato, sempre per rilanciare, sarà tutta attorno a un tavolo a forma di boomerang (a ferro di cavallo, si diceva una volta, quando questi dibattiti non si chiamavano pomposamente “alla francese”).
Rodolfo Sonego, sceneggiatore di Alberto Sordi, bollava il cinema di Michelangelo Antonioni come “cinema del carro attrezzi”, per via delle piazze sempre deserte a significare “incomunicabilità”. In tv non è questione di carro attrezzi, ma di sedie o poltroncine o sgabelli, da qui si ricostruisce la storia dei talk-show italici. Li mettiamo comodi e sprofondati gli ospiti? O li facciamo stare in piedi? In due fazioni contrapposte, ognuna a occupare metà dello studio? Attorno a un democratico tavolo onde dialogare? O il tavolo lo facciamo fare all’architetto? E perché non trasparente? Il concetto: faccio domande sensate, per ottenere da gente sveglia risposte intelligenti non viene mai preso in considerazione.
[**Video_box_2**]Matteo Renzi non ha proposto di chiudere i talk-show che lo criticano. Neppure David Cameron ha proposto di abolire la carta stampata, solo perché una biografia racconta stupidi riti di iniziazione – ma del resto intelligenti non se ne conoscono – che lo vedevano armeggiare (e qualcosa di più) con una testa porcina. Non ha neppure chiesto riparazione a Charlie Brooker, sceneggiatore di “Black Mirror”: nel primo episodio, i rapitori di una principessa chiedono come riscatto che il primo ministro faccia sesso con un maiale. Era la serie più visionaria della tv britannica, rischia di diventare un documentario. Mentre gli sceneggiatori italiani sono sempre indietro in tutto.