Storia, mitologia (ed economia) di Adelphi, la casa editrice che ora diventerà una bandiera della diversità
Si separarono per colpa di Nietzsche. Così vuole non la leggenda, bensì l’archeologia culturale italiana (chi mai si separerebbe più, oggi, per Nietzsche o per Lukács? Nemmeno nel Pd). Luciano Foà non riuscì a ottenere da Giulio Einaudi le garanzie economico-ideologiche per avviare la pubblicazione nei Millenni dell’opera omnia del filosofo tedesco. Questioni di costi editoriali, intrecciate a questioni squisitamente culturali, allora più o meno come ora. Foà se ne venne a Milano, in via San Giovanni sul muro, assieme al suo amico Roberto “Bobi” Bazlen e con i soldi di Roberto Olivetti, il figlio di Adriano, e altri collaboratori eccellenti. Era il 1962, il pittogramma cinese della luna nuova (“morte e rinascita”) e la grafica-non grafica delle copertine, con i suoi colori pastello che ancora oggi qualcuno definisce un “urlo sussurrato”, erano già pronti a intestarsi la storia e la mitologia di una cultura “altra”, e “alta”, rispetto a quella di Casa Einaudi, guardiana dell’ala sinistra del pensiero. Autonomia, indipendenza dal mainstream ideologizzato d’allora, capacità di forgiarsi una sorta di proprio Zeitgeist, riconoscibile dai (allora) non moltissimi lettori.
Che Adelphi sarebbe rimasta fuori dall’acquisto di Rizzoli libri da parte di Mondadori non è mai stata una notizia: Roberto Calasso acquisterà il 58 per cento delle azioni in mano a Rcs, in base a un accordo siglato oltre dieci anni fa. Come sempre anche in passato, nella storia austera e un po’ altezzosa della casa editrice, la scelta culturale e l’attenzione prudente alla pecunia si sovrappongono. Quando sul finire degli anni Novanta Adelphi non navigava in acque tranquille, per così dire, Rizzoli entrò nella proprietà – la grande estimatrice dei suoi volumi è da sempre Marella Agnelli – fino a una quota del 37 per cento. Quando poi, in successivi passaggi, la quota Rcs salì oltre il 50, Roberto Calasso, che è un intellettuale ma non un sognatore, chiese e ottenne da Rcs una impegnativa a veder rispettata l’autonomia editoriale (compresi i conti) e soprattutto la possibilità di riacquisto in caso di una futura vendita giudicata non gradita. L’altra metà della storia è l’antipatia mai dissimulata da parte di Calasso e del suo entourage culturale per Casa Berlusconi. E ora sarà su questa resilienza, su questo orgoglioso sfilarsi dal nuovo gruppo, che si costruirà, si può esserne certi, un altro pezzo del mito di Adelphi presso il pubblico e presso tutti i preoccupati custodi della libertà della cultura (il ministro-scrittore Dario Franceschini: “Rischi per il delicato mercato del libro”).
La casa editrice dai titoli raffinati e dai colori pastello rimarrà in questo modo una delle poche medio-grandi indipendenti del panorama editoriale italiano – nel segno di una cultura sofisticata e della cura artigianale per il prodotto. Non l’unica, certo. Per dimensione, artigianalità e autonomia dai grandi conglomerati ci sono case editrici che valgono quanto Adelphi, da Minimum fax a Codice edizioni. Ma nessuna vanta quel marchio, quella storia, quella noblesse. Che se ne farà, l’Adelphi di Roberto Calasso, di questo patrimonio immateriale dalle implicazioni molto materiali, una volta che avrà respinto al mittente, è sicuro anche questo, la tentazione di appropriazione indebita da parte dei mille anti mercatisti in cerca di nuove bandiere – è difficile dirlo, ma è interessante domandarselo. Adelphi godrà ancora di più dell’immagine di sancta sanctorum inviolabile; una certa, dissimulata o strillata fuga di autori verso la casa dei “fratelli” è data per scontata – soprattutto dalla scuderia Bompiani, quella guidata da Elisabetta Sgarbi, dalla quale per primi si sono alzati gli alti lai contro la berlusconizzazione culturale del mercato mangia-tutto, a partire da Umberto Eco.
Ovviamente, la curiosità degli operatori del settore dà la precedenza a un altro aspetto: dove recupererà il patron di via San Giovanni sul Muro, assieme ai suoi soci di minoranza, i danari per ricomprarsi il 58 per cento della sua storia? La cortesia della famiglia Agnelli, Marella Caracciolo ha pubblicato per i Tipi di Calasso ben due libri in due anni, “Ho coltivato il mio giardino” e “La signora Gocà”, è da tempo la prima indiziata; al di là delle smentite ufficiose e dei non piccoli problemi di intrecci proprietari. Qualche conoscitore del mercato, addirittura, già pensa che il valore del marchio e delle sue azioni sarà premiato dalla scelta di indipendenza.
[**Video_box_2**]Ma volendo guardare un po’ più in là, e con più concretezza? Un uomo di editoria esperto e abituato a guardare “più in là” come Marco Ferrario, che è stato a lungo manager mondadoriano (Mondadori Informatica & New Media) e dal 2010 si è creato un proprio business nell’editoria online con bookrepublic.it, la più grande libreria online italiana indipendente e poi con 40k, una casa editrice nativa digitale che pubblica in cinque lingue e vende in tutto il mondo, ammette che “lo scontento di Calasso per un ingresso in casa Mondadori è evidente, come lo è la sua voglia di indipendenza”. Ma poi preferisce ragionare sul fatto che si tratta di una abile mossa commerciale e di posizionamento. “Nel gruppo c’è già Einaudi, che con le dovute differenze si rivolge a un pubblico simile. Ci sarebbe una concorrenza interna e tra cataloghi e linee editoriali. Stando fuori, l’autonomia è premiata, concorrenza e riconoscibilità sono destinate a crescere. E’ una scelta giusta, logica”. Chissà se però, e qui parla l’editore digitale, Adelphi avrà mai la voglia di rischiare il proprio patrimonio di autonomia in un altro modello industriale: “Quello librario di oggi è finito: costi troppo alti, distribuzione elefantiaca per poter esistere nelle librerie, meccanismi di resa pesantissimi. Il modello della vendita online, o del print on demand, potrebbe essere il futuro dei marchi medio-piccoli di qualità. Ma non credo sarà la scelta di Calasso”. Modelli commerciali, scelte culturali.