“Lo chef della pizza” dell’artista americano Bob Gregory (acrilico su tela, 2011. Parte del progetto commissionato da Harmon’s Pizza a Franklin, in Kentucky)

C'è vita oltre il glutine

Michele Masneri
Siamo andati a fare due passi all’Expo dei celiaci (veri o per amore). Keynes ne sarebbe orgoglioso. E’ la prima edizione delle giornate celiache nella cornice imperiale mussoliniana del palazzo dei Congressi di Roma.

Un popolo di santi, eroi, navigatori, trasvolatori. E celiaci. Nel weekend, nella Roma orfana del sindaco Marino, ecco nell’Eur surreale, di fronte al Colosseo Quadrato con la famosa iscrizione mitomane mussolinana, i “Gluten Free Days”, sorta di Leopolda senza glutine, di Giubileo laico dell’allergia al lattosio, di Expo del kamut.

 

E’ la prima edizione di queste giornate celiache nella cornice imperiale mussoliniana del palazzo dei Congressi. Nell’atrio stupefacente, sotto il grande affresco “Tutte le strade portano a Roma”, di Achille Funi, campeggia già lo stand del Gambero Rosso e una ressa assiste allo “show cooking” di un primario chef naturalmente senza glutine. Si chiama Marcello Ferrarini, per il cronista assume in sé tutte le qualità del contemporaneo personaggio: sa tenere il pubblico, è abbigliato in maniera ardita (ha ai piedi delle converse gialle, poi dei jeans skinny decorati con delle patatine e degli hamburger e scritte “Yum! Yum!”, e sopra porta la giacca da chef con i tradizionali bottoncini a funghetto, però giacca non bianca, bensì di jeans, e bottoncini gialli. Più un numero imprecisato di spille e bracciali).

 

E’ laureato in Psicologia, si apprende, ed è anche un po’ artista dedicandosi “alla creazione di opere artistiche concettuali di food design”. Ha un microfono televisivo, di quelli color carne che stanno appiccicati alla guancia e la deformano in uno strano ghigno, e incita il suo pubblico – il povero cronista era impreparato – perché Marcello Ferrarini è una star della cucina no-glutine, ha un programma su “Gambero Rosso Tv”, che si chiama “Senza glutine con gusto”, e oggi qui si appresta a fare un sushi a base di schiacciatine ai semi di zucca e/o lino, con aggiunta di Philadelphia, e del salmone “abbattuto”, dove abbattuto, precisa Marcello, che ha un talento per lo show, “non vuol dire che è stato fucilato! (risate in sala) ma è stato passato naturalmente nell’abbattitore!” (topos gastronomico dei nostri anni). Questi sushi senza glutine serviranno “per un’apertura di una cena, un finger food, un appetizer gourmet” dice con giusto orgoglio, e non manca davvero nulla nella semantica culinaria contemporanea, e servirebbero dei nuovi Bouvard e Pécuchet a raccogliere i termini della nuova temperie alimentare.

 

“Se qualcuno poi volesse acquistare il mio libro”, dice Ferrarini mentre rimesta quel composto di Philadelphia ed erbe aromatiche e “sale viola” (nella temperie alimentare d’oggi ogni componente ha il suo pedigree, il sale deve essere almeno viola o dell’Himalaya), “lì racconto la mia storia di uomo ma soprattutto di celiaco. Sono tredici capitoli in cui mi sono raccontato in maniera spiritosa leggera e friendly. Poi ci sono naturalmente quarantacinque ricette senza glutine”. Si chiama “Tutta un’altra pasta” (Mondadori), sottotitolo “la mia vita da chef celiaco, le mie ricette senza glutine”. “Tieni, te lo regalo, così ci fai un bel redazionale”, mi dice con la consuetudine disinvolta di queste nuove star. E poi: “C’è un gelatino per il pubblico?” intendendo il microfono a mano.

 

[**Video_box_2**]Omaggiato del mio libro celiaco, raggiungo l’architetto Roberto Malfatto che è l’organizzatore della manifestazione. Malfatto è il boss del Lanificio Factory, complesso di ristoranti-loft-spazi fichetti sull’Aniene, a Pietralata. Mi porta a fare una visita architettonica del “Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi”, opera del sommo Adalberto Libera, iniziata nel 1939, “un cubo di 45 metri per 45, tutto rivestito in marmo di carrara baciato” (cioè con tagli simmetrici), “oggi non sarebbe più possibile una simile meraviglia”. “E’ il terzo anno questo che facciamo i No Gluten Day”, dice Malfatto al Foglio, “i primi due anni proprio al Lanificio, quest’anno qui. Ci sono sessanta espositori, l’anno scorso abbiamo fatto seimila presenze di pubblico, quest’anno sicuramente di più”. Abbandoniamo le architetture e scendiamo di nuovo di sotto tramite le meravigliose scale incrociate e grafiche di Libera. Malfatto è anche un organizzatore di grandi eventi. E’ stato parte della task force del governo per il Giubileo del 2000 e ha messo su il Lingotto del 2007, dove alle spalle di Walter Veltroni scorrevano le immagini delle città italiane. Ha anche organizzato il famoso vertice di Pratica di Mare, quello con Berlusconi e Putin. Qui al palazzo dei Congressi “han fatto le Olimpiadi di scherma del 1960 e almeno tre congressi della Democrazia cristiana”, mi dice l’architetto. Siamo di nuovo sotto l’affresco grandioso di Achille Funi, che con un realismo caldo da Luca Bigazzi mostra la celebrazione di Roma Capitale (l’affresco doveva essere di 70 metri ma finì a 20 perché finì anche il fascismo). Sembra tutto una metafora di qualcosa, nella Roma senza sindaco e nell’Italia dove l’unica cosa seria rimasta, come dicevano a Boris, è la ristorazione.

 

Sotto il ciclopico dipinto intanto lo chef Marcello Ferrarini rimesta il suo impasto di Philadelphia in favore di telecamera. Ci sono delle ragazze in piedi che fotografano freneticamente il pentolone e poi postano velocemente le foto su Instagram. Quando il sushi è pronto, irrorato da un aceto come si vuole balsamico, viene deposto su un vassoio e sottoposto a uno shooting feroce. Pare il battesimo di un primogenito reale, e questo sushi-royal baby battezzato col balsamico viene posto su un tavolino-altare, dove i ragazzi riprendono a fotografarlo freneticamente. “Prendilo da destra”, dice una ragazza mora, carina, a un ragazzo pelato. “Che filtro usi?”, gli chiede. Lui dice: “Prendilo da sopra”, e scattano coi loro iPhone, controllano il risultato, e postano. Chiedo timidamente a questa ragazza: ma sei una food blogger? Lei: “Eh, magari. Mi piace semplicemente fare foto”. Sentendomi anziano e giudicante, chiedo ancora: “Ma ti piace fotografare sushi?”. Lei, un po’ sprezzante, e un po’ stupita: “Cibo. In generale. O me stessa. O lifestyle”.

 

Vado allora a cercare dei veri blogger, scopro che c’è una zona dedicata, si chiama Blog In, ci sono alcune blogger no-glutine che stanno cucinando, e nel frattempo parlano, anche loro con questi microfoni color carne che deformano la guancia. Adesso c’è una signora siciliana con una t-shirt rossa e la scritta gialla, “Celiaca per amore”, ed è il nome del suo blog, lei si chiama Marcella Calabrese e prepara una ricetta tipica ragusana, mentre racconta che lei non è né celiaca né intollerante né vegana; ma è il marito che è “ciriaco”, come spesso, racconta lei, vengono definite le persone che soffrono di questa patologia. Dall’amore col marito ciriaco ha generato una bambina che è “poliallergica” cioè praticamente non può mangiare nulla, e lei (la mamma non ciriaca) per forza ha imparato a cucinare senza glutine, senza latte, senza uova. Intanto sono pronti dei muffin – qui nell’Expo dei celiaci, a differenza di quello originale, si mangia gratis tutto il tempo, gli otto euro del biglietto vengono presto ammortizzati in assaggi – senza glutine, senza latte, senza uova, senza lattosio, senza frutta secca, opera di un’altra blogger. Sono buoni, anche se sanno prevalentemente di cocco come buona parte dei manufatti senza glutine (si usa molto la farina di cocco). Nel frattempo arriva sul palco la bambina poliallergica di prima, è carina, e molto spigliata, si presenta, dice “ciao io sono Maya” però questa spigliatezza un po’ esagerata, come se con la poliallergia e in generale con un’identità molto alimentare di tanti, qui, c’entrasse un protagonismo, una smania.

 

Riepilogo: il glutine è quel complesso proteico presente in alcuni cereali; la celiachia, che non è un’allergia ma una malattia autoimmune, provoca lesioni all’intestino, dolori, pancia gonfia. I celiaci sono circa l’1 per cento della popolazione occidentale, e molti sono inconsapevoli. L’83 per cento – stima la rivista Time – non sanno infatti di esserlo. Al contrario, il 99 per cento della popolazione che non è celiaca sembra appassionarsi sempre di più a una vita gluten free: il 30 per cento degli americani compra o vorrebbe comprare alimenti per celiaci.

 

“Noi siamo un club molto esclusivo in cui tutti vogliono entrare”, mi dice scherzando Paola Fagioli, presidente della sezione Lazio della Aic (associazione italiana celiachia). Tra i vari servizi di questi Gluten Free Days dell’Eur ci sono i prelievi di sangue. Molto affollati. “Oggi abbiamo dovuto mandare via parecchia gente”, continua Fagioli, “perché tanti si presentano agli esami dopo essersi già messi a dieta. Le persone cioè cominciano a mangiare senza glutine, senza nessuna prescrizione medica, e poi magari vengono a fare i test. Commettendo due errori: il primo è che un’alimentazione senza glutine per chi non è celiaco è dannosa; il secondo è che se già sei a dieta il test non funziona”.

 

“Poi ci sono quelli che risultano negativi ai test ma non ci credono”, continua Fagioli. Insomma, pare una specie di mania collettiva, anche se in realtà “oggi se ne parla solamente di più, è solo da sei-sette anni che la diagnosi è più facile e precisa. Si è sempre morti per altro, per diarree, ulcere, si sono sempre avuti mal di pancia, ma oggi la scienza riesce a individuare la malattia”. C’è però anche un narcisismo gluten free, o un orgoglio: “Una volta ci si vergognava, adesso è una specie di cosa di cui essere orgogliosi”, dice Fagioli. E’ anche una malattia riconosciuta a livello medico e dal Servizio nazionale, che dà significativi contributi a chi deve acquistare alimenti senza glutine: 99 euro al mese ai maschi e 140 alle femmine.

 

Non è molto, dicono gli esperti, perché gli alimenti senza glutine costano parecchio. Però improvvisamente si capisce che esiste un “moltiplicatore keynesiano gluten-free”, che spiega la distesa di espositori, qui, in questo Expo ciriaco. Ognuno cerca il suo posto al sole (il mercato solo in Italia cresce del 27 per cento annuo) in questa terra di conquista: dalle grandi aziende alle piccole imprese artigianali. Ecco la Kellogg’s, colosso dei cereali, che omaggia di sacchetti di corn flakes senza glutine. Ecco la Peroni, “main sponsor” della manifestazione, che offre ed espone ovunque la sua linea gluten free a 4,7 gradi alcolici. Ma poi ci sono i “piccoli”, ecco una Mazzarini Alimenti di Jesi che mostra un grande cartellone di bastoncini di pesce senza glutine. Il bastoncino Findus, simbolo del male per tante nostre infanzie di diete punitive, oggi assurge dunque alla santità celiaca. “Abbiamo cinque dipendenti e otto agenti, siamo sul mercato da dieci anni”, dice il titolare Claudio Mazzarini. “Per ora è un mercato di nicchia, riguarda 200-300 mila persone, non è come per quello dei diabetici che sono tre milioni”, aggiunge con una nota di invidia, o rimpianto.

 

Poi ecco lo stand della Imetec. Il gruppo degli elettrodomestici bergamasco lancia una linea “Zero Glu” che comprende innanzitutto una macchina per il pane in grado di farne 7 tipi diversi, con un ricettario a base di farina di kamut, integrale, di farro. Le farine sono un tema e un business che meriterebbero approfondimento a parte; la gentile signorina della Imetec sostiene che le mamme celiache “non si accontentano di comprare i mix di farine no-glutine della Schaer” (colosso tedesco gluten free, qui ha uno stand gigante all’ingresso, tipo Mercedes al salone di Francoforte). “No, vogliono proprio comporre il loro mix, comprano la fibra di piselli, la farina di Guar, l’E 464. Se si mettono a sperimentare diventano tipo piccolo chimico”. La signorina Imetec fa capire che meglio degli Ottanta euro di Renzi, i 99 o 140 euro in dotazione alla mamma celiaca saranno probabilmente in grado di far ripartire l’economia. Ma poi Imetec presenta anche un estrattore di succhi (l’estratto is the new rucola, per chi non lo sapesse), e soprattutto l’arma fine di mondo: l’anti-Bimby no-gluten, un impastatore-friggitore-cuocitore di paste e risotti che è uguale all’originale della tedesca Vorwerk (che dal Folletto ha avuto un impatto sulle nostre vite molto importante, altro che Volkswagen), ma ha un ricettario “ciriaco” studiato da un apposito chef, e costa 1.000 euro in meno dell’originale (che cos’è il genio).

 

Proseguendo, ci si imbatte nel triangolo del gelato: c’è il filogovernativo Grom, guardato con sospetto (va bene in quanto start-up di successo? Saranno invece schiavi delle multinazionali?). Allo stand, ragazzi simpatici dicono che sono del punto vendita del Pantheon a Roma, e son stati loro a portare il famoso carrellino di gelato a Renzi. Uno di loro, barbuto, molto neoliberista, sostiene che “entrare in una grande azienda come la Unilever permetterà di continuare a crescere”. E poi che “lavorare per una multinazionale fa più curriculum e ti forma di più”. Grom comunque è 100 per cento gluten free, conferma anche un “trainer conista” al medesimo stand. Si cerca allora di provocare i vicini artigianali di una Cremeria Alpi, vincitrice del Gelato Festival di Roma, quattro punti vendita ma destinati a crescere a sei “ma non lo scriva che mia moglie ancora non lo sa e si incazza”. Loro fanno gelati ovviamente senza glutine e artigianale ma del gelato multinazional-popolare pensano che sia “di buon livello”. La disfida del gelato gluten free passa poi per “Greed-Avidi di gelato”, gelatai radical-ciociari di Labico che propongono gusti come cacio e pepe, fiori di zucca, carciofo alla romana, e suggeriscono che quelli di Grom “hanno delle buone entrature, quelli vanno in televisione”. Ancora più radical, ma chic, i gelatai di Grezzo, pasticceria nazi-celiaco-fighetta del rione Monti, che si professa “crudista, vegana, senza glutine, biologica”. Le loro praline sono buone, ma con tutte queste prescrizioni pare di prendere una medicina, o un’ostia consacrata.

 

Per tirarsi su, ecco Marco Amoriello, tre volte incoronato come miglior pizzaiolo del mondo, che dalla sua pizzeria “Dal Guappo” a Moiano (Benevento) ha fiutato il business del gluten-free e adesso è finito nell’empireo delle star celiache. Amoriello impasta la sua pizza mentre la folla lo acclama: “Mercoledì io vado a Barcellona, poi a Las Vegas, la settimana scorsa ero alla Prova del Cuoco, poi andrò all’Expo, ti rendi conto”, mi dice. Lui ha iniziato a fare la pizza gluten free perché sua sorella venne scoperta celiaca a Napoli “dal professor Auricchio. Uno dei primi cinquanta casi di celiachia a Napoli. Allergica alla farina, le dissero. In una famiglia di pizzaioli. Pareva ‘no scherzo”.

 

Tornando all’atrio principale, sotto il grande affresco di Achille Funi, lo chef gluten-free Marcello Ferrarini ancora firma autografi alle fan. “Alla mia nuova amica sglutinata” scrive in dedica al suo libro. Io comincio a leggere: parte raccontando del nonno Francesco che faceva lo chef e che ha sostituito “un padre assente, lontano”. Questo nonno Francesco è stato anche un gran playboy, e gli ha insegnato come si trattano le donne. Poi racconta della sua fidanzatina, la prima, al liceo, “io ebbi la fortuna di saperla conquistare il giorno di carnevale, con maestria e savoir-faire”. Poi il colpo di scena: “Roberta era celiaca, io ancora no”. Con la narrazione o storytelling di un amore celiaco, con l’ode all’amica sglutinata, con questi nonni playboy e queste mamme esperte di panificazione si va via da questo Eur grandioso a malincuore ma appagati, infine. Come da un’italianità antica e però eterna: e con un vago sapore di farina di cocco in bocca.

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