10, 100, 1.000 Ali Salem. Chi era lo scrittore egiziano ostracizzato per aver parlato a Israele
7 aprile 1994. Un signore sale sulla propria auto di fattura sovietica targata Egitto e valica il confine tra Egitto e Israele per intrapredere un viaggio di tre settimane. Siamo a pochi mesi dalla firma degli Accordi di Oslo e diciassette anni dopo lo storico discorso del Presidente Sadat alla Knesset di Gerusalemme. Quell’uomo è Ali Salem, il grande scrittore satirico egiziano scomparso il 22 settembre scorso, a 79 anni, nella sua casa al Cairo. Salem, da sempre fautore della normalizzazione dei rapporti tra Israele e il mondo arabo, intraprese quel viaggio da solo, senza comunicarlo né alla famiglia, né alle autorità. Aperto sostenitore della pace tra Israele ed Egitto, ha progettato intimamente questo viaggio per anni, opponendosi agli amici che lo sconsigliavano. Era divorato dalla curiosità di conoscere il vicino, di capirne le sfaccettature. Nelle sue parole: “Non è stato un viaggio d’amore, ma un vero e proprio tentativo di sradicare l’odio”. Le impressioni di viaggio diventarono subito un libro, “My drive to Israel”, scritto in arabo e tradotto in ebraico e inglese, poco più di cento pagine con una sfumatura tragicomica che raccontano i suoi incontri con la gente di Israele. Pagine toccanti per lo stupore che lo scrittore esprime nel constatare la coesistenza di opinione agli antipodi, di una società estremamente eterogenea, legata da un forte collante identitario.
I problemi sono cominciati subito: prima (1996) l’associazione egiziana dei cineasti e poi (2001) quella degli scrittori lo espellono per aver visitato Israele più volte, per aver pubblicato un libro e numerosi articoli a favore della “normalizzazione dei rapporti tra Israele ed Egitto”, vietata da statuto. I teatri cessano di mettere in scena le sue pièce. Nel 2005, senza addurre nessuna motivazione ufficiale, le autorità egiziane gli vietano di varcare il confine per ritirare la laura ad honorem conferitagli dall’Università Ben Gurion di Beer Sheva. Isolato e bandito, a sua difesa ebbe un nome di eccellenza, il Premio Nobel Naguib Mahfouz, anch’egli sottoposto a minacce di boicottaggio agli inizi del 2000, quando ci fu chi, tra l’intellighenzia egiziana, ebbe a protestare per la traduzione in ebraico dei suoi testi. Salem non si è fatto intimidire, non ha mai ritrattato e ha continuato a esprimere le sue idee nei pochi spazi che gli venivano concessi.
Nel luglio 2015, in uno dei suoi ultimi interventi pubblici, scritto per il giornale indipendente al Masry al Youm a seguito dei ripetuti attentati da parte di fondamentalisti islamici che hanno colpito il Sinai, Salem ha sostenuto che l’Egitto non ha mai investito veramente nello sviluppo della Penisola perché l’odio per Israele ha creato una tale diffidenza che la minaccia di una possibile nuova conquista non li ha mai abbandonati. Per Salem, infatti, l’Egitto è rimasto ancorato al guerra del 1973: la pace non è mai stata tale, perché le elite hanno inculcato nella società civile egiziana “uno stato mentale di guerra permanente, che ti costringe a combattere senza stare sul campo. Vieni trasformato in un cannone senza munizione, in una bomba fumogena, in una pistola giocattolo. Tutte le tue azioni e parole vengono trasformate in slogan e grida di battaglia. E’ uno stato di odio perenne del prossimo, è il più elevato grado di bugia”.
Salem racconta di quanto, anche tra gli intellettuali laici e liberal, sia comune l’opinione che una normalizzazione con Israele comporterebbe una pericolosa invasione culturale, diretto proseguimento di quella militare.
In un passaggio di “My drive to Israel” riporta questo dialogo, ispirato a una converszione avuta con un professore della American University del Cairo alla presenza anche di Mahfouz:
“Oh mio dio! Come posso proteggermi da questa invasione?”
“Non parlare con loro, non ascoltarli, non leggerli. Convinciti che non esistono. [...] Copriti anche gli occhi, in quanto un film nucleare potrebbe invaderti...”.
“Oh povero me! E come posso proteggere la mia mente?”
“Spegnila. Questa è la soluzione”.
“Ok. Chiusa”.
Nelle ultime pagine del libro, prevedendo le reazioni ostili al suo viaggio (“Non c’è fine al dolore provato dalla maggior parte delle persone quando all’improvviso qualcuno solleva il velo di illusioni e menzogne”), Salem si augura che la generazione di più giovani possa valutare più obiettivamente il suo tentativo, capire che “tra noi e Israele non ci sono campi minati, ma quelle strade asfaltate che io ho percorso”. Purtroppo, passati più di vent’anni, questo non è ancora successo. Non è bastato un solo Ali Salem.