Aaron Sorkin

Niente paura: dietro l'insuccesso di “Steve Jobs” c'è pur sempre un fuoriclasse come Aaron Sorkin

Mariarosa Mancuso
“Se il film va male, darò la colpa a Michael Fassbender”. Aaron Sorkin, sceneggiatore di “Steve Jobs” – oltre che di “West Wing”, “The Newsroom”, “The Social Network” e “La guerra di Charlie Wilson”, che nessuno ricorda mai ma fu l’ultima diretta dal divino Mike Nichols – lo aveva detto scherzando a Wired un mesetto fa.

“Se il film va male, darò la colpa a Michael Fassbender”. Aaron Sorkin, sceneggiatore di “Steve Jobs” – oltre che di “West Wing”, “The Newsroom”, “The Social Network” e “La guerra di Charlie Wilson”, che nessuno ricorda mai ma fu l’ultima diretta dal divino Mike Nichols – lo aveva detto scherzando a Wired (edizione americana) un mesetto fa. Ora rischia di diventare la scusa ufficiale per l’insuccesso al botteghino – nel primo fine settimana, almeno – del film diretto da Danny Boyle, che fa indossare occhiali e dolcevita all’attore irlandese (nato a Heidelberg, ecco perché si mimetizzavava bene tra i nazisti in “Bastardi senza gloria”). La bravura del ragazzo non si discute, ma Christian Bale o Leonardo DiCaprio richiamano più pubblico.

 

La Universal si stava avviando a chiudere un annus mirabilis, dal punto di vista degli incassi. Se tutto fosse andato secondo i piani, “Steve Jobs” sarebbe stata la ciliegina sulla torta. Le proiezioni facevano sperare in 19 milioni di dollari, ne sono entrati in cassa poco più di 7 (poco meno di 7 fu l’incasso nel primo fine settimana dello spernacchiatissimo “Jobs” con Ashton Kutcher). Resta la speranza del passaparola, che potrebbe scattare questo fine settimana.

 

Côté critica, si leggono solo elogi. Noi che stiamo alla periferia dell’impero ci consoliamo del ritardo con cui il film arriverà leggendo tutte le interviste ad Aaron Sorkin in circolazione. Una più bella dell’altra, e questo non stupisce: lo sceneggiatore appartiene alla categoria dei fuoriclasse che dicono cose intelligenti sul proprio lavoro (ci sono anche i fuoriclasse che sul proprio lavoro dicono sciocchezze, e quelli che dicono banalità non essendo neanche fuoriclasse, i peggiori). Stupisce che siano diverse l’una dall’altra. Non perché Aaron Sorkin cambi idea. Perché i giornalisti chiedono cose diverse, essendo i lettori di Wired diversi dai lettori del New York Times, diversi dai lettori del New York Magazine.

 

A Wired interessa Aaron Sorkin sceneggiatore d’elezione quando in scena ci sono gli algoritmi e la statistica applicata al baseball (il film era “L’arte di vincere”). Il New York Times gli chiede se gli sarebbe piaciuto fare lo sceneggiatore negli anni 40, durante la prima Golden Age televisiva. “L’unica cosa che rimpiango di quell’epoca sono gli uomini con il cappello”, è la risposta. A tutti fa sapere, anche se non glielo chiedono: “Sono uno scrittore di teatro che si finge sceneggiatore”.

 

[**Video_box_2**]“Steve Jobs” non funziona come un biopic, è un parlatissimo e claustrofobico litigio in tre atti. Molto simili tra loro, quasi sempre tra le stesse persone, raccontano il dietro le quinte di tre lanci importanti, dal Macintosh del 1984 all’iMac del 1998. Il motivo, Aaron Sorkin lo spiega al New York Magazine: “La miglior guida, in certi casi, è ancora il vecchio Aristotele con la sua ‘Poetica’”.

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