La guerra al cibo-porcata e un nuovo emendamento costituzionale: “Ciò che non ingrassa, ammazza”
In verità signori’ ci disse, ‘siete troppo delicati; uno uccide due o trecentomila uomini, e tutti lo trovano un bene; uno si mangia un cosacco, e si mettono tutti a strillare’”. E’ la chiusa di una lettera di Voltaire “Sulla questione: Gli ebrei hanno mangiato carne umana? E come la preparavano?”, di recente tradotta e commentata da Antonio Gurrado per il Melangolo. Nel suo feroce “écraser” le religioni in salsa antisemita, Voltaire coglie un punto eccellente, attuale. Non la questione religiosa, ma quella della democrazia (in America, e non solo). Il tema della libertà nutrizionale, della sua liceità, non sotto il profilo del savoir-faire, ché il cannibalismo nella modernità è stato fagocitato come elemento del kitsch, ma come fatto costitutivo della democrazia politica.
La copertina di Time titola “The war on delicious”, la guerra che l’occidente sfinito e salutista ha dichiarato a se stesso sulle “delizie” che è bello mangiare. E che, italiani, chiameremmo volentieri, estensivamente, porcate. Un problema di libertà, nota il Time. Gli americani adorano le loro libertà fondamentali, ci hanno scritto degli invalicabili emendamenti. Ma tra quelle libertà ce ne sono anche di non scritte: quelle di essere grassi, di aver voglia di mangiare qualsiasi cosa fino a satollarsi. Anche questa è una “everyday freedom”. Oggi la libertà di farsi un nodo scorsoio col tovagliolo intorno al collo rischia di divenire incostituzionale. E’ scorretto ingozzarsi di presunte schifezze. Per gli yankee ovviamente al primo posto c’è la carne rossa, carbonizzata a temperature infernali fino allo zenit cancerogeno. Ma è un problema non solo americano, è mondiale. C’entra un anarco-libertarismo davvero universale. Senza scomodare Mark Twain (patrimonio loro, ma da loro all’umanità il passo è corto) sulle buone cose illegali, immorali o che fanno ingrassare, noi che abbiamo una cultura più di pancia, pulcinellesca e di fame atavica, diciamo che “ciò che non ammazza ingrassa”.
[**Video_box_2**]La libertà di mangiare male, e anche quel che fa male, non è solo un retaggio antropologico e psicologico ancestrale. Alla faccia dei protocolli responsabili dell’Expo, è anche una questione di democrazia sostanziale, di soddisfazione nell’insoddisfazione. Vogliamo azzardare? E’ un potente regolatore delle tensioni sociali. Fa parte del vivere: la passione per le schifezze, le porcate, gli eccessi. Quelli che adesso chiamano junk food ma sono solo “generi di conforto” a tutte le latitudini. I churros con la cioccolata, i McDonald’s con le patatine ingollati con la scusa che ci porti i bambini al sabato, i dorayaki con la salsa rossa di fagioli azuki.
Cacciati dall’etica, rientrano ripuliti dalla finestra della valorizzazione dello street food. Una volta erano il pane ca’ meusa, i ciccioli. Ognuno sia libero di suicidarsi a piacere. Gli yankee hanno i rodeo bbq, dice Time. Noi i pizzoccheri. Anni fa Gualtiero Marchesi li ammazzò, trasformandoli in “stracci di grano saraceno con erbe e formaggi”. Ma li riscatta moralmente la versione della Val Chiavenna, che ha questo di particolare: solo patate formaggio e burro. Senza nemmeno quella menzogna verde e vegetale delle erbe. E’ un po’ come poter ribattere, in un nuovo emendamento alla Costituzione più bella del mondo: “Ciò che non ingrassa, ammazza”.