René Girard, l'antirelativista
Roma. Era considerato un paria del pensiero contemporaneo, un solitaire, un pensatore terminale, un “radicale”. Giovedì, nel piangere il grande antropologo francese, l’Università di Stanford ha spiegato che “René Girard ha influenzato scrittori come il Nobel Coetzee e Milan Kundera, eppure non ha mai goduto della fama (spesso fugace) che hanno i suoi pari strutturalisti, poststrutturalisti e decostruzionisti. Le sue preoccupazioni non erano di moda, ma erano senza tempo”. René Théophile era cresciuto in una famiglia della piccola borghesia intellettuale francese. Il padre, socialista, era il curatore della biblioteca del museo Calvet di Avignone e del Palazzo dei Papi. La madre, cattolica “tendenza Maurras”, era una melomane che alla sera leggeva i romanzi italiani ai cinque figli. Il padre gli suggerì di entrare nella scuola di Chartres e dopo la lunga immersione negli archivi medievali, Girard accettò l’offerta di assistente di francese negli Stati Uniti. Fu l’inizio della sua straordinaria carriera accademica oltreoceano (New York, Johns Hopkins University, Stanford). Agli studenti americani Girard spiega Cervantes, Dostoevskij, Proust. E pensare che fu proprio Girard alla Johns Hopkins University a organizzare la conferenza del 1966 che avrebbe introdotto lo strutturalismo in America. Lucien Goldmann, Roland Barthes, Jacques Lacan e Jacques Derrida vi presero parte. Ripensando a quella conferenza, Girard scherzava: “Ho portato la peste negli Stati Uniti”.
René Girard aveva una scrittura a tinte messianiche, convinto di farsi portavoce di una verità che nessuno voleva vedere. Fu capace di gesti inauditi per la Babele accademica, come quando nel 2008 appose la sua firma alla moratoria all’Onu del Foglio, che chiedeva di inserire il diritto alla vita nella Carta delle Nazioni Unite, e tre anni prima aveva preso posizione contro la manipolazione eugenetica degli embrioni. “C’è qualcosa di vicino al sacrificio umano in fenomeni come l’aborto illimitato, la manipolazione illimitata della vita, dove le persone avranno solo figli ‘disegnati’”, ci disse Girard. “E’ la continuazione del paganesimo con mezzi totalmente diversi”.
Autore di opere capitali come “La violenza e il sacro” e “Il capro espiatorio”, eletto fra i quaranta “immortali” dall’Académie française, definito da Michel Serres “il nuovo Darwin delle scienze sociali”, Girard diceva che il pensiero debole si basa sulla “castrazione del significato”. Era questa l’origine, secondo lui, dello “skandalon” della religione nella neosecolarizzazione. “A partire dall’illuminismo, la religione è stata concepita come puro non sense”, disse al Foglio. “La religione ha una funzione che va oltre la fede e la veridicità del dono monoteista: la proibizione dei sacrifici umani. Il mondo moderno ha deciso che è la proibizione il non sense. La religione è tornata a essere concepita come il costume del buon selvaggio, uno stato primitivo di ignoranza sotto le stelle. La religione è invece necessaria a reprimere la violenza. L’uomo è una specie unica al mondo: l’unica che minacci la propria sopravvivenza attraverso la violenza”.
[**Video_box_2**]Quando tutti lo attaccavano, Girard difese Benedetto XVI: “E’ un Papa che fa il suo mestiere. Rievangelizzare il mondo è il ruolo della chiesa, la sua stessa ragion d’essere”. Vide giusto sull’islam e dalle colonne del Monde confessò di avere paura. “Sono diventato sempre più pessimista. Ciò che gli intellettuali e le élite non vogliono intendere, le masse lo hanno capito. Quando il Muro di Berlino è caduto, se aveste detto che quindici anni più tardi la situazione avrebbe rivisto un’opposizione tra due forze, e che una di queste forze si sarebbe chiamata ‘islam’, la gente vi avrebbe riso. Ma l’islam è infinitamente più forte di ciò che resta del cristianesimo”. Per Girard, l’islam era un’antireligione, una “religione sacrificale”. “La forza e allo stesso tempo la debolezza dell’occidente è che non crede più ai suoi capri espiatori”.
E’ stata questa la grande lezione di questo gigante dell’umanesimo contemporaneo. Aver saputo guardare negli occhi e decifrare il secolo del martirio.