Non piangere!
Le città di notte contengono uomini che piangono nel sonno, poi dicono Niente. Non è niente. Solo un sogno triste. O qualcosa del genere”. L’incipit de “L’informazione” di Martin Amis, scritto vent’anni fa, ha un sentimento solidale verso le lacrime degli uomini: piangiamo tutti, però piangiamo di notte, nel sonno, minimizziamo, teniamo il nostro dolore, o la commozione, o la tristezza, chiusi dentro il petto. Sembra che, nonostante la rincorsa a essere uguali, uomini e donne, e madri e padri, e amanti e amati, nonostante la pretesa che le donne siano feroci come gli uomini e gli uomini empatici come le donne, le lacrime maschili siano ancora un film horror, o un costume di Halloween, come ha scritto il Guardian (“i bambini urlavano, gli uomini davano pugni alle pareti e le donne vomitavano dentro i telefoni con cui stavano prenotando sterilizzazioni last minute”).
E’ un uomo, ma piange.
E’ un uomo, ma alla fine del libro ho visto che aveva la faccia bagnata, e non era sudore e non era whiskey.
E poiché se un uomo piange si scatena la maledizione sopra il suo villaggio, nell’orto di Sean non crescono più i pomodori da quando ha guardato da solo “Blue Valentine”. Perché qui va bene praticamente tutto, qualunque acrobazia antropologica, qualunque metamorfosi sociale, ma il pianto no: se piangi, allora tutto il tempo nelle caverne non è servito a niente. Se piangi perché non la vedrai mai più, se piangi perché hai un nodo in gola, se piangi per un cielo di novembre e perché la madre di Bambi non doveva morire, allora che ne sarà dell’idea primitiva di uomini con gli occhi secchi come foglie d’autunno? Il Guardian propone anzi una semplice cauterizzazione dei condotti lacrimali alla nascita, o anche prima, per evitare la perversione di quei bambini di cinque anni a cui le nonne dicono, quando si sbucciano un ginocchio, “Sii uomo”, e loro hanno cinque anni e vogliono soltanto piangere a più non posso. Basterebbe anche una goccia di colla super forte proprio lì, all’angolo degli occhi, qualcosa che salvi la brutalità nella sua interezza, l’insensibilità, il controllo di sé, la parete di rovi fra un uomo e la sua commozione. Signori, se avete bisogno di piangere fatelo come vent’anni fa a Londra, di notte e nel sonno e poi dite: niente, non è niente. Se vedete nascere vostro figlio e sentite qualcosa che sale dal cuore e vuole uscire dagli occhi, girate la testa di scatto e emettete un grido gutturale, o date una testata al muro: più bestiale e quindi molto più virile. Potete avere tutto, anche le braccia depilate e le crisi di autostima, purché a sguardo asciutto. In ogni caso, quando arriverà l’accettazione unisex delle lacrime, sarà circondata da diffidenza. Come ha scritto Nora Ephron: “Non fidarti degli uomini che piangono. E’ vero che gli uomini che piangono sono sensibili e provano dei sentimenti, ma i soli sentimenti per i quali tendono a essere sensibili sono i propri”. Bisognerà scegliere fra clandestinità e autocommozione.