Quanto è colta (e ridicola) la Parigi celebrata da Fazio e Gramellini

Andrea Minuz
Nello zapping  frenetico e angoscioso di questo fine settimana pensavamo di averle viste tutte. Il Califfato è avvertito. Anche le nicchie nel loro piccolo s’incazzano.

“Guardate questa fila di gente davanti al cinema per vedere ‘Il conformista’”. Gramellini raccoglie la sfida della Jihad portata nel cuore dell’Europa con un'immagine potente. L’immagine dei nostri valori universali che alla fine non potranno che trionfare sulla “barbarie”, dice. Nella fotografia circolata su Twitter si vedono sei persone in attesa di entrare a “Le Champo”, un’intima sala d’essai in rue des Ecoles, nel quartiere latino. A “Che tempo che fa” diventa il simbolo dell’Occidente migliore. Quello che non cede all’odio vendicativo di “American sniper”, perché la bellezza è più forte della paura. Il Califfato è avvertito. Anche le nicchie nel loro piccolo s’incazzano. Non ci fermerete, torneremo a fare le cose di sempre, la Nouvelle Vague è grande, Bertolucci è il suo profeta.

 

Costretto ad allestire in fretta una puntata sui fatti di Parigi, Fabio Fazio ci ha offerto sabato sera un formidabile richiamo ai “nostri valori” ritagliato sui gusti del pubblico colto, pacifista e raffinato della sua trasmissione. Cioè su Parigi come oggetto letterario. Non c’era la Torre Eiffel come nel video di Giorgia Meloni che dice “bisogna andare in Zìria” co’ la zeta. Non c’era la capitale del fallimento multiculturalista con le banlieue che allevano attentatori, né quella sottomessa di Houellebecq, Bruckner, Glucksmann. Da Fazio si è celebrata la Parigi delle Feltrinelli del centro. La “nostra” Parigi.

 

Nello zapping  frenetico e angoscioso di questo fine settimana pensavamo di averle viste tutte. Poi ci siamo imbattuti in Rubini e Bentivoglio che leggono brani dal “Passagenwerk” di Walter Benjamin. Fazio che dice “luogo della flânerie per eccellenza”, strizzando l’occhiolino allo spettatore con il dottorato in Letteratura e autorizzando tutti gli altri a buttarsi su Salvini, in collegamento da Vespa su RaiUno. Di là si sciorinavano i numeri del ministero degli Interni, di qua si leggeva Hemingway. Parigi festa mobile, Parigi oh cara. Incorniciati nel prologo del ministro Gentiloni, sfilano il direttore dell’École normale supérieure, Marc Mezard, il corrispondente di Libération, Eric Jozsef, Marc Augé, Paolo Giordano, Geppi Cucciari. L’hashtag è #paroleperparigi. Ogni ospite ne sceglie una. “Paolo cosa hai pensato in queste ore?”; “I luoghi, il tempio, l’idea di tempio, il dramma dei luoghi, i riti, ho visto la serie di Fibonacci scritta su un muro di Parigi”. I luoghi? C’è Marc Augé, ci pensa lui. “La parola che ho scelto è bistrot», dice Augé, “perché il bistrot è un simbolo di libertà”. Nessuno in studio rischia il domandone: “Scusi, il bistrot è un non-luogo oppure no? E Starbucks?”. Non c’è tempo.

 

In collegamento da Cosenza c’è il Professor Nuccio Ordine che parla di Giordano Bruno. Sembra un filo fuori tema, ma ci sta. La tolleranza, l’Europa, i muri da abbattere, le frontiere da aprire, «ma scusi Professore lei sta leggendo?”, lo interrompe improvvisamente Fazio; “no, no… tengo lo sguardo basso per via del riflettore… però, vorrei concludere leggendo un pensiero di Montesquieu”; “prego, prego”. C’è il momento musicale. “Una canzone che tutti conosciamo a memoria”, dice Fazio presentando Simona Molinari. Lei attacca “Et maintenant” di Gilbert Bécaud. Chi non l’ha cantata almeno una volta nella vita? Se non la conoscete siete dell’Isis o votate Salvini o state guardando Vespa. “Imagine” davanti al Bataclan va bene, ma qui si fa sul serio. Il ceto-medio riflessivo cerca le parole e le canzoni giuste.

 

[**Video_box_2**]Alla fine tocca a Gramellini. “Avevo scelto ‘silenzio’ perché siamo nella fase dell’indicibile ma ho cambiato, scelgo ‘coraggio’”. E’ fermo, deciso, risoluto, molto sudato. Il Gramellini offeso dalla visione di “The wolf of Wall Street” è un lontano ricordo. Prende coraggio, si rivolge all’Isis e dice: “Siete degli stronzi”. Così ci piace. Due dita di pancia-del-paese, che diamine. “Bravo!”, anzi, bravò, gli fa eco Fazio, prima di lasciare l'ultima parola a “Gli Aristogatti”, che fa un po’ alleggerimento, un po’ “festa di perversione”, come direbbe l’Isis, perché “tutti quanti vogliono fare il jazz”.