Commissionate un quadro. E' un'idea per non morire, noi e l'arte
Amate l’arte? Amate l’Italia? Se le vostre risposte sono incerte, tentate un test infallibile visitando “Ritratto italiano”. Il nuovo sito escogitato da Camillo Langone è lo sviluppo del tentativo di esaurimento della pittura italiana vivente che in questi anni, giorno dopo giorno, lo ha visto accumulare materiale per centoventuno pagine web sul sito “Eccellenti pittori”, poi antologizzato nell’omonimo libro Marsilio. “Ritratto italiano” ne è una costola estrema, che travalica la conoscenza del vasto pubblico e si rivolge direttamente ai compratori: commissionate un ritratto, argomenta Langone, perché è l’ultimo modo per immortalarsi sfidando il tempo su una gittata irraggiungibile dall’immediatezza non lavorata e obsolescente delle immagini tecnologiche (vuol dire “selfie” ma Langone è uno degli ultimi italiani a parlare italiano). Fra qualche secolo le istantanee dei vostri momenti memorabili saranno dimenticate mentre qualcuno scoverà il vostro ritratto e, passando una mano sullo strato di polvere, vi conoscerà.
Langone scrive per la ventitreesima ora. Ogni volta che preconizza una fine immancabilmente la vediamo realizzarsi, e come i migliori profeti si limita a tradurre segnacoli del presente che sono eclatanti ma ci sfuggono perché viviamo in un’era di ottundenti distrazioni: Facebook ha undici anni e consente a tutti noi di averne tredici. Tutta la sua produzione su arte, cibo, letteratura e liturgia tenta di salvare il salvabile in extremis e trasportarlo, proteggendolo sotto un tabarro, verso un futuro incerto. Il ritratto è un modo di salvare l’Italia mentre, come annunciava Prezzolini mezzo secolo fa, finisce: commissionerà ritratti chi può permettersi l’esigenza di sentirsi ricordato, ovvero la borghesia, facendosi immortalare coi simboli dei valori che ama, siano la famiglia o il lavoro o la fede. Se la borghesia non avrà nulla da tramandare oltre la pubblicazione su Instagram della foto di un piatto quadrato al ristorante, l’Italia avrà finito di finire.
[**Video_box_2**]L’artista dev’essere grato alla borghesia committente che gli permette di lavorare. La committenza è amica dell’arte – nell’accezione più vasta, non solo figurativa – perché è nemica di tre miti postmoderni che hanno rinsecchito l’Italia: l’ispirazione, i finanziamenti e la creatività. L’attesa dell’ispirazione calata da chissà dove rischia di rendere l’intera nazione un’estensione del caffè Martini descritto centocinquant’anni fa da Igino Ugo Tarchetti come “convegno di artisti che non lavorano, di cantanti che non cantano, di letterati che non scrivono” e che ciò nondimeno si vantano della propria arte non esercitata. Un committente più o meno severo o minaccioso è il miglior grimaldello per sfaticati; Charlie Brooker, autore della serie tv “Black Mirror”, ammetteva che non c’è miglior ispirazione di una scadenza precisa e di un energumeno che ti spacca i denti se non la rispetti. Allo stesso modo è facile fare gli artisti coi finanziamenti statali, impetrati dalle frange più colorite delle professioni intellettuali; questi anonimi versamenti istituzionali equivalgono alla pretesa di fare gli artisti senza pubblico. La committenza invece mette l’arte in mano ai suoi naturali fruitori. Se non avesse dovuto ogni tre mesi inventarsi qualcosa per cui il pubblico sborsasse di tasca propria, anziché capolavori Goldoni avrebbe scritto drammi sperimentali o intorcinati o raffazzonati onde riportare la dicitura “progetto di interesse culturale finanziato con contributi del Mibac”. Le esigenze del committente in fruttuoso attrito con le pretese dell’artista pongono un freno alla creatività – se dovete consegnare il ritratto di un cardiologo non avrete tempo per pensare a ficcare un crocifisso nella pipì – e spronano a trovare modi inesplorati per incanalarla entro limiti invalicabili. Infine, ma non è un aspetto secondario, ogni volta che commissionerete un ritratto farete scampare all’Italia il rischio che un artista diventi impegnato.