Quanta acqua imbarca la nave di Teseo, tra paletti antropologici e Area C
Roma. C’è più acqua nelle novità editoriali italiane degli ultimi mesi di quante ne imbarchi la tua nave, Teseo (che poi, si dirà Téseo alla greca o Tesèo alla latina? E’ chiaramente una casa editrice per chi ha fatto il classico, quella annunciata martedì, sorta sulla fusione calda tra Mondadori e Rizzoli). La nave di Teseo, creata dai fuoriusciti di Bompiani, viene dopo un’altra casa indipendente sorta da pochi giorni, la romana Atlantide, e non si sa se sia il riscaldamento globale a causare tutta questa idricità; si apprende che il nome qui è stato scelto da Umberto Eco in persona, rifacendosi forse a un metaromanzo squisitamente echiano di J.J. Abrams, inventore di “Lost” (altra acqua, isole) e comunque a un mito minore che oggi ci costringe tutti a riprendere in mano almeno il Canfora o la Garzantina: dice Plutarco nella “Vita di Teseo” che gli ateniesi avevano conservato la sua nave per circa mille anni, continuando a sostituire al legno che man mano marciva del legno nuovo e sano. Perciò, in seguito, ci si interrogò se codesta nave fosse vecchia o nuova o a chilometri zero. Metafora dunque marinara e acquatica della Bompiani che cambia pelle ma rimane se stessa, con Elisabetta Sgarbi nocchiera e professoressa di greco un po’ sadomaso seduta in mezzo a questa foto di Teseo, la foto scattata martedì in casa Sgarbi, tra porte a vetri, pavimenti in seminato veneziano, Area C e società civile in purezza, destinata forse a diventare celebre come altre istantanee culturali (i fondatori di Repubblica, i fondatori del Mulino, la foto di Vasto, forse). La foto dell’area C è stata annunciata con un grande pezzo su Repubblica di martedì, in cui Francesco Merlo racconta di un incontro-scontro tra Marina Berlusconi e Elisabetta Sgarbi “non ideologico ma antropologico”, scontro da cui nascerebbe lo spin-off; e davvero si pagherebbero diverse migliaia di euro per assistere al clash of civilization; soprattutto perché, racconta al Foglio chi c’era, il clash si è tenuto ad Arcore, e pare che Elisabetta Sgarbi, snobismo punk ferrarese-milanese, abbia avuto quasi un tracollo quando Marina B., parlando di aspetti tecnici della fusione, abbia detto più o meno “speriamo che vada tutto bene”, e poi abbia fatto vistose corna apotropaiche, come da dna paterno.
Sbaglia però chi vorrebbe un feroce sentimento antiberlusconiano in questo nuovo vascello, sono snobismi appunto antropologici, non ideologici, e si narra infatti di altri sturbi precedenti quando il risanatore Scott Jovane, durante una Milanesiana (l’appuntamento culturale ideato dalla Sgarbi) in un fondamentale concerto al teatro Dal Verme s’addormentò in prima fila, con bolla al naso, tipo Alberto Sordi nel “tacet in partitura” delle “Vacanze intelligenti”. Snobismi bipartisan, e niente etichette, e qualcuno dell’equipaggio della nave-scuola si è un po’ pentito di aver dato l’intervista a Repubblica, perché la nuova creatura tutto dovrà essere tranne che un’emanazione di Largo Fochetti, dunque ultima germinazione dell’azionismo torinese, germinazione in idrocultura, e della “certa idea di Occidente” di culto mauriano. Non una nuova Einaudi, dunque, ma semmai una piccola nuova Adelphi (l’altra casa editrice araldica che si è allontanata dalla centrifuga Mondazzoli), senza paletti ideologici e più pop.
[**Video_box_2**]Però anche quelli antropologici sembrano variabili. Del resto la Sgarbi è riuscita da sempre a mettere insieme mondi apparentemente incomunicabili: Umberto Eco e Paulo Coelho, Vittorio Sgarbi e Michel Houellebecq, il profeta delle disuguaglianze Piketty insieme con il premio Strega renziano Edoardo Nesi e Pietrangelo Buttafuoco. Con ottimi risultati sia di qualità che di fatturati, da cui il disagio anche di stare nella disastrata Rcs, ben prima della fusione con Mondadori. Disagio anche geografico: qualcuno sostiene che anche la nuova sede della Nave, a via Stefano Jacini, negli uffici in faccia al castello Sforzesco messi a disposizione da Francesco Micheli, sia finalmente a portata di passeggiata per Umberto Eco (cinque o sei minuti a piedi al massimo), e qualcun altro nota che lo Jacini della via era il nonno di un autore attuale Bompiani; e comunque in genere si è tutti molto sollevati, specialmente la società civile, di tornare in centro, dopo le obbrobriose sedi di Alcatraz (così è chiamato il palazzone di Crescenzago disegnato da Stefano Boeri) o i laghi con le carpe di Segrate. Ma poi oltre l’azionismo torinese ci sono per fortuna azionisti molto liquidi: sul ponte della nave scuola c’è infatti Guido Maria Brera, finanziere che fin dal cognome farebbe pensare all’omonimo quartiere milanese e a una lampada di Gae Aulenti, mentre trattasi di Roma Sud: fondatore del gruppo Kairos, gestione del risparmio. Autore di un romanzo “I diavoli - La finanza raccontata dalla sua scatola nera” (Rizzoli), capitalista ricciolone e abbronzatura da Argentario, sposato con la televisiva Caterina Balivo, ispiratore poi del protagonista di “Resistere non serve a niente” (romanzo di Walter Siti sempre Rizzoli, 2012). Dunque dalle epopee milanesi dei bastioni si cade velocemente verso giù, verso Roma Capitale, e alle sue estetiche piovose e ai suoi tombini da “Suburra”. Brera, insieme a Eco e gli altri, hanno messo i soldi veri; ma altri soldi arriveranno, dice un conoscitore della materia. Poi ci sono le fiche in quota società civile, soglia di ingresso 100.000 euro, tipo i coraggiosi di una Alitalia editoriale. Una di queste, da centomila, l’ha messa la famiglia Pontecorvo. Niente a che vedere col maestro della “Battaglia di Algeri”. Sono i proprietari dell’acqua Ferrarelle.