Omnia Vanitas
La piccola storia della vanità umana vive di attese, rincorse, ascese e cadute, ma anche di trasformazioni involontariamente comiche: un uomo ambizioso e appassionato, perfino idealista, sopporta le umiliazioni e la sfortuna in nome di quello che verrà, insegue il successo con determinazione (a volte talento) e a un certo punto afferra davvero il successo per un lembo della giacca: si ritrova fra le mani soddisfazioni e gioie che per anni ha solo sognato, persone che lo ascoltano, anzi lo cercano e, nella parabola di uno scrittore raccontato splendidamente nella seconda stagione della serie americana The Affair, lo scrittore finalmente di successo guarda dall’altro lato della strada la libreria dove lo aspettano per la presentazione e vede le persone in fila: questa visione gli scalda il cuore e gli apre la faccia in un sorriso.
Ce l’ha fatta, il libro si vende, il New Yorker lo recensisce con entusiasmo, Jonathan Franzen vuole conoscerlo, l’addetta stampa sexy lo inonda di messaggi, le lettrici gli lasciano bigliettini con il numero di telefono e gli fanno domande maliziose (“come fa a raccontare così bene l’universo femminile?”), la sua ex moglie ha smesso di odiarlo, la fidanzata aspetta un bambino. E’ qui, nel momento di maggiore felicità, che un uomo (o una donna) viene messo alla prova. Perché è così facile trasformarsi in solito stronzo? Diventare la persona con i tic di cui ci prendevamo gioco quando li riconoscevamo negli altri, dal nostro angolino buio e tranquillo? Un ambizioso cieco, smodato, vagamente paranoico, privo di senso del ridicolo, tutto preso dall’ascolto di sé (alla ex moglie che gli parla con il cuore in mano dice – invece di: perdonami –, “ti è piaciuto il mio libro?”), bisognoso di leggere ottime recensioni, sconvolto da una stroncatura sul giornale del college: invece di sentirsi in uno stato di grazia, l’uomo di successo con l’ego gonfiato fino quasi a scoppiare diventa fragile, nevrotico, incapace di distacco e di risate, serissimo, nervoso. Noah Solloway, il protagonista di The Affair, cerca di prendere a pugni il laureando in Letteratura autore della recensione insolente, gridandogli: chi ti credi di essere?, e la scena è penosa, che brutta figura, come ci si può ridurre così, ma (quasi) ogni uomo di fresco successo sa, nel profondo del suo cuore, che la tentazione c’è: fare a botte con tutti quelli in disaccordo, circondarsi soltanto di specchi, incupirsi perché hanno assegnato il premio a un altro (a una donna di colore, per giunta, e lo scrittore di successo dice: “E’ difficile essere un uomo bianco nel 2015”, e lo dice seriamente, senza ironia).
[**Video_box_2**]Il New York Magazine ha trovato una definizione precisa per il mutamento antropologico dello scrittore tormentato in scrittore di successo, definizione forse un po’ forte ma applicabile a molti mutamenti improvvisi e pressoché irreversibili, di esseri umani che perdono la testa e il senso dell’umorismo davanti agli applausi: “Coglione”. Resta quindi un solo dubbio: l’uomo di successo ha lavorato duramente per diventare questa caricatura qui? O forse lo era già prima, ma di nascosto, nei beati anni dell’insuccesso?