A Facebook via al congedo parentale per gli uomini. Bene, purché non facciano i mammi
Sull'altare degli eroi della transizione da padri padroni a padri paterni spunta la foto (profilo) del fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg. Il congedo parentale che ha commosso il mondo è il suo: dopo aver annunciato che se ne sarebbe concesso uno di due mesi per la nascita di sua figlia, ha deciso di estendere lo stesso diritto a tutti i suoi dipendenti, neo mamme o neo padri che siano, americani o non, naturali o adottivi, per una durata di quattro mesi nell'arco del primo anno di vita del bambino. "Padri e madri meritano lo stesso livello di supporto quando creano una famiglia", ha scritto Lori Matloff Goler, vice presidente delle risorse umane di Facebook.
Una mossa che segna un passo importante nel riconoscimento pratico-teorico della divisione precisa, tagliata al millimetro, di diritti e doveri dei genitori e, più ancora, in quello dei diritti dei padri.
Fintanto che alle madri si appaltava la crescita dei figli, erano le donne a esperire, con punte drammatiche (non esclusi pensieri di suicidio, consorticidio, infanticidio), l'acrobatismo necessario per assolvere tanto i doveri familiari quanto quelli lavorativi. Adesso, il problema rispetta i termini del gender equality e riguarda tanto le madri quanto i padri: la capacità maschile di accettare che essere padre sottrae tempo al lavoro diventa, allora, fondamentale per la formulazione del ruolo paterno all'interno della famiglia e lo rivoluziona, esponendolo a una scelta che, finora, è stata obbligata solo per le donne.
Tuttavia, come sempre quando si parla di uomini (un romanzo distopico sul nostro presente potrebbe chiamarsi "undici: non essere maschio"), si sarebbe potuto fare di più. Catherine Rampell sul Washington Post e Helaine Olen su Slate hanno scritto che la mossa di Zuckerberg, per quanto importante, tralascia il cuore della faccenda: al netto delle buone intenzioni, i padri continuano a voler essere amministratori delegati della crescita dei propri figli e non operai. Una ricerca del National Bureau of Economic Research mostra come gli uomini, che pur potrebbero disporre del congedo parentale, non lo usano o lo usano per poche settimane, perché vedono minacciata la propria virilità. Non sopportano che i propri colleghi possano figurarseli mentre cambiano pannolini, cantano ninna nanne, guidano il passeggino. Sul penultimo numero di “Nuovi Argomenti”, Emanuele Trevi ha scritto che la famiglie che gli fanno più impressione sono quelle in cui "madri e padri si spartiscono le mansioni, come se non esistessero differenze tra i sessi e gli istinti a queste differenze collegati, e questi padri che fanno il bagnato, che a prima vista possono sembrare simpatici e innocui invertiti, in realtà, con la complicità delle loro donne evolute, stanno eliminando l'Edipo. Mostruosità luciferina che avrà conseguenze incalcolabili sulla storia umana". Ecco, dalla ricerca americana non traspare se i maschi vogliano evitare l'eliminazione dell'Edipo, ma di certo non vogliono sembrare madri, almeno agli occhi dei propri conterranei di genere. La stessa ricerca rileva che il numero maggiore di americani che ricorre al congedo parentale lavora in ambienti dove la presenza femminile è in maggioranza.
[**Video_box_2**]"I millennial non sono i padri che credono di essere", titolava un articolo del New York Times dello scorso luglio, nel quale l’autrice spiegava come, alla prova dei fatti, i signorini tra i venti e i trent'anni, arretrano davanti alla concretizzazione dei principi egualitaristi che predicano.
Forse perché sono irredimibili sessisti e temono che il sessismo finiremo per combatterlo col matriarcato, forse perché il mondo ha cambiato tutto per non cambiare niente, forse perché non vogliono eliminare l'Edipo. Magari, però, stanno soltanto chiedendosi se abbia senso diventare padri facendo i mammi.