Ping, ting, ring

Annalena Benini
La divisione dei messaggi (e dell’esistenza) per fasce d’età, mondanità e capacità tecnologica. Le nostre conversazioni, anche se noi non lo sappiamo, sono divise in fasce d’età e di mondanità, e se mandi un messaggio su Facebook come se fosse un sms, aspettandoti una risposta immediata, significa che vivi ancora nel Novecento.

A volte è soltanto per dire ciao, altre per accordarsi sui regali di Natale, la maggior parte del tempo si chiacchiera, ci si seduce, ci si lascia, si lavora, si fa l’amore. Ognuno con uno strumento diverso, tante applicazioni quanti sono i mondi dentro i quali si messaggia, e perfino i bambini delle elementari si mandano saluti, orsetti e parolacce sulla chat di Minecraft, il videogioco dei mondi da costruire. Anche ciò che non è nato per comunicare diventa un modo per scriversi: ehi, sono qui (se qualcuno gioca ancora a Ruzzle, avrà almeno un paio di grandi amici scoperti durante una sfida di parole alle due di notte), per avere conferme, riunioni, video erotici che poi si autodistruggono con Snapchat (non oltre i trent’anni, ché dopo è troppo difficile da usare).

 

Le nostre conversazioni, anche se noi non lo sappiamo, sono divise in fasce d’età e di mondanità, e se mandi un messaggio su Facebook come se fosse un sms, aspettandoti una risposta immediata, significa che vivi ancora nel Novecento e che il prossimo passo potrebbe essere una chiamata dal telefono fisso, o una lettera con la penna stilografica e le lacrime sopra l’inchiostro. Quindi succede di trovare messaggi urgenti mandati cinque giorni prima, o di non accorgersi di un file fondamentale su Slack, o di passare tutto il giorno a sentirsi solissimi, abbandonati dall’universo, e non accorgersi che lei ti aveva proposto un gin tonic via Twitter. Anche di stare notti intere online su WhatsApp, sperando che su qualche nome compaia la scritta: sta scrivendo. Possiamo conoscere, innamorarci, fare scenate di gelosia, lasciarci, restare amici, assumere e licenziare la stessa persona su almeno otto canali diversi, a seconda delle necessità e dell’intimità (quando si è ancora formali è meglio Skype, quando ci si insulta è perfetto WhatsApp, e in tutto questo trillare e pingare, l’arrivo di un sms lascia attoniti, è come se all’improvviso la realtà facesse irruzione nel mondo online: un sms ha ormai l’autorevolezza di una frase scolpita nella pietra). E per le infelicità, per nasconderle e quindi svelarle, basta una foto su Instagram con didascalia, è come un discorso pubblico. Mentre i ragazzi riescono a rispondere a tutto contemporaneamente, con il massimo della naturalezza e dell’opportunità, gli altri arrancano, sbagliano piattaforma e a volte inciampano come Anthony Weiner,  che non solo ha mandato un messaggio privato (foto di mutande) al mondo intero invece che a una studentessa, ma soprattutto stava sextando su Twitter, come un pensionato ai giardinetti.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.