Out of office
Mentre siete nei vostri uffici, posti di lavoro, stanzette, loft, scrivanie impolverate, mentre ogni tanto parlate da soli per assicurarvi di avere ancora le corde vocali (la stanzetta è semi deserta, la maggior parte dei computer spenti), perché non provate a mandare mail a caso, a tutti quelli che normalmente vi tempestano di richieste, avvisi, pubblicità, promozioni, offerte imperdibili, recriminazioni, minacce? Riceverete quasi sempre la stessa immediata risposta: out of office (chissà perché nel nuovo millennio un giorno di festa prevede il divieto fisico e morale di leggere una mail). Out of office è l’immobilità che le vacanze di Natale portano con sé, è il ritorno agli anni Cinquanta quando si aspettava il disgelo in qualche località dal clima temperato, è la regola di questi ultimi giorni: gli uffici sono circondati dai rovi, come il castello della Bella Addormentata, e i pochi rimasti di guardia si sentono dentro un romanzo distopico sull’estinzione della razza umana. Passano le ore, i mesi, gli anni, ma la Befana non arriva.
Invece di chinare il capo come gli ultimi della terra, i reietti che non sono andati alle Maldive o nella casa di campagna, gli unici che prendono l’autobus la mattina e che schivano, a Roma, la tempesta degli uccelli migratori, possono godere di una piccola rivoluzione silenziosa nei loro uffici quasi vuoti, organizzare festini con gli avanzi di Capodanno, prendersi pause caffè di almeno un’ora (consiglia il New York Magazine), innamorarsi del vicino mai notato, come nelle storie d’amore sulle isole deserte. Godere insomma di questo tempo immobile, in cui molte scrivanie sono ancora sepolte di ceste di Natale con il cellophane (e allora, che cosa aspettate: apritele, mangiate, bevete, brindate con gli altri resistenti, poi fate sparire qualunque indizio, buttate la carta, fischiettate), e i cassetti dei colleghi sono incustoditi: se non avete fatto propositi di bontà per il 2016, o se è vostro costume disattendere ogni promessa già nei primi giorni dell’anno, se avete insomma intenzione di essere ancora a lungo persone abiette e ficcanaso, questi sono i giorni adatti per frugare nelle vite degli altri.
[**Video_box_2**]Al ritorno, qualcuno si chiederà il motivo dei sorrisetti di scherno, ma non immaginerà che, sulle note della Febbre del sabato sera, colleghi gerarchicamente inferiori e apparentemente miti hanno calpestato le sue foto di famiglia e i suoi preziosi manuali di auto aiuto, e ballato con le calze autoreggenti (rubate dal cassetto) legate intorno alla testa. Nessuno saprà che avete bevuto whiskey dai bicchieri di carta alle due del pomeriggio, e che avete dato fuoco a importanti documenti del vostro capufficio-aguzzino. Chi torna, comunque, dopo una esagerata assenza invernale, deve aspettarselo: la sua sedia ergonomica è stata sostituita con una identica ma rotta, i libri non sono più al loro posto e nel migliore dei casi il vacanziero (che al posto della lettera scarlatta ha sul naso il segno della maschera da sci) scoprirà che al suo computer è stato tolto il mouse. Stupito, chiederà se qualcuno l’ha visto: ma ti pare che ti abbiamo rubato il mouse?, gli risponderanno in coro i presidiatori, anche un po’ indignati. Solo dopo due o tre giorni arriverà qualcuno da un altro ufficio lontano, con sguardo immobile, e dirà: mi serviva, tanto tu non c’eri.