Parla Waleed, il “blasfemo” che difende Charlie Hebdo
Roma. Waleed al Husseini ha trascorso dieci mesi in una prigione palestinese per lo stesso “crimine” per cui i giornalisti di Charlie Hebdo sono stati fatti a pezzi un anno fa: “Blasfemia”. Ma quando Waleed fuggì in Giordania e all’ambasciata francese di Amman chiese asilo politico, non avrebbe mai immaginato che l’incubo islamista lo avrebbe seguito anche a Parigi, dove oggi vive nascosto, perché i fondamentalisti lo cercano per fargliela pagare. Waleed ha già causato polemiche in Francia, accusando il Consiglio francese del culto musulmano di essere “oscurantista”. Durante un’intervista televisiva, organizzata in un ristorante a Parigi, l’hotel ha chiesto di eliminare il nome di Waleed dal tavolo. Troppo rischioso. Libération lo ha ritratto sotto il titolo “fiero di essere un apostata”.
Questo scrittore e blogger palestinese ha evitato la condanna a morte soltanto grazie a una mobilitazione internazionale. E’ stato il primo caso di un palestinese perseguitato per le proprie idee dal potere statale in Cisgiordania. Quello “moderato” di Abu Mazen. Waleed fu arrestato mentre si trovava in un internet café della sua città, Qalqilya.
In carcere, Waleed subisce la “tortura soft”, come la sospensione al soffitto con un braccio e restare in piedi su una gamba. “Bruciatelo vivo!”, incitavano intanto i commentatori arabi, mentre un gruppo su Facebook ne chiedeva l’esecuzione. In un articolo, Waleed al Husseini aveva scritto che i musulmani “credono che tutti quelli che lasciano l’islam siano o un agente o una spia di qualche stato occidentale, di solito Israele” e che non capiscono che “le persone sono libere di pensare e di credere in quello che vogliono”. Persino la famiglia lo ha disconosciuto: “Ci ha disonorati”.
Un anno fa, mentre i terroristi decimavano la redazione di Charlie Hebdo, Waleed era impegnato a lanciare per la celebre casa editrice francese Grasset il suo nuovo libro, “Blasphémateur!”. “Il mio sentimento principale dopo la strage del 7 gennaio è stato di debolezza, una profonda debolezza mista a rabbia, ma non sono stato affatto colto di sorpresa”, dice Waleed Husseini in questa intervista al Foglio. “In quei giorni stavo firmando le copie del mio libro, che sarebbe uscito una settimana dopo il massacro, il 14 gennaio. Fu allora che realizzai che ero fuggito dal mio paese per trovarmi di fronte gli stessi terroristi in Francia. Il ciclo si era chiuso”. Pascal Bruckner, uno dei più acuti intellettuali osservatori in Francia, ha scritto che “sarebbe ora di formare una grande catena di solidarietà per tutti i ribelli del mondo islamico, i moderati, i non credenti, i liberi pensatori, gli atei, gli scismatici come un tempo furono sostenuti i dissidenti dell’Europa dell’est”.
[**Video_box_2**]“Ha ragione”, esclama Waleed. “Perché noi sappiamo cosa sia l’islam. Dovete ascoltare gli ‘apostati’ e non coloro che si definiscono ‘islamici moderati’. Questi ultimi sono come una copertura per i jihadisti. Sono loro ad aver impedito ogni discussione sul Corano, loro che accettano l’uccisione degli ‘apostati’, degli omosessuali, che sono contro la libertà di espressione, che vogliono introdurre più islam nell’educazione. Decisivo è l’uso della parola ‘islamofobo’. I fondamentalisti vogliono introdurre un reato di blasfemia per frenare qualsiasi dibattito di idee”. Ieri, la moglie del poliziotto Franck Brinsolaro, ucciso mentre proteggeva il direttore di Charlie Hebdo, Stéphane Charbonnier, ha raccontato un allarmante episodio avvenuto due settimane prima dell’attentato del 7 gennaio: un giornalista che lavora nella zona aveva rivelato alla polizia di aver incontrato davanti alla redazione di Charlie Hebdo un uomo che gli aveva chiesto: “E’ qui che criticano il Profeta?”. Era lì. Conclude, sconsolato, Waleed al Husseini: “Non potrà mai esserci riforma dell’islam se non accetteremo di discutere liberamente del Corano. In occidente state perdendo la libertà di espressione”.