Quel che resta di Charlie Hebdo
Dio in fuga dopo l’attentato, Dio provvisto di kalash, un anno dopo: “L’assassino” è il titolo della copertina di Charlie Hebdo che celebra così l’anniversario con un milione di copie stampate. Il nuovo direttore, un sopravvissuto al macello, scrive che ai suoi compagni vignettisti libertini e irreligiosi, sterminati per vendetta dopo le vignette sul Profeta dell’islam, è “caduta addosso l’eternità”. Ben detto, ma la percezione giudaico-cristiana dell’eternità è molto diversa da quella degli shahid, i martiri della guerra santa che amano la morte come premio e salvezza istituito dalla loro Rivelazione. Il Dio della copertina è più biblico che musulmano, gli manca il turbante. Perfino i libertini sono dunque obbligati al conformismo, perfino chi ha visto in faccia l’arcangelo sterminatore non sa o non vuole indicarlo per nome. I vescovi francesi si proclamano amareggiati per l’irriverenza religiosa del disegno, il Papa aveva aperto loro la strada dicendo che chi bestemmia tua madre, la tua matrice, la tua fede, si merita una reazione violenta. E su un messaggino blasfemo della fine d’anno sfuggito a un funzionario della diretta Rai, e motivato dalla rabbia di un utente per la fobia dei botti del suo cane, roba nemmeno buona per il prossimo Checco Zalone, sembra incentrarsi tutta la residuale capacità cattolica di indicare un male e chiedere giustizia, oltre la frontiera della misericordia. Questo il livello.
Eppure Benedetto XVI aveva avvertito, in modo dotto e scandaloso, nella lectio magistralis tenuta a Ratisbona nel 2006, che è giusto “interrogarsi su Dio per mezzo della ragione”, e che è contro Dio e contro la ragione l’uso della spada nelle questioni di fede. Cose dottamente illustrate, ma semplici e vere. Che ebbero in risposta l’ignavia peccatrice di un conformismo inter-religioso banale, degno con tutto il rispetto delle Comunità di Bose e di Sant’Egidio, e la violenza anticristiana nella piazza islamica. E Ratisbona fu archiviata come la più straordinaria gaffe teologico-politica della storia papale, quando era il rinnovo e la messa in chiaro della laicità cristiana come pegno e alleanza universalista tra fede, ragione e diritti dell’uomo. Una prova di illuminismo spacciata come oscurantismo da un occidente in piena dismissione identitaria di sé, in preda all’irrazionalismo della paura. Voltaire avrebbe approvato Ratzinger, i suoi nipotini fecero pollice verso. E avvenne quel che avvenne.
Parigi, dopo il suo anno tragico inaugurato dal pugno islamico contro i bestemmiatori della mamma e chiuso dal pugno contro i passanti boulevardier e gli spettatori ignari del Bataclan, sta celebrando la fresca e sanguinosa memoria degli avvenimenti con tristezza composta, pietà, molti protocolli politici e istituzionali dovuti, qualche risibile discussione politicista su misure insulse come il ritiro della nazionalità francese a chi si comporti proprio male. Nessuno però fino ad ora ha rilevato con un po’ di spirito critico: che secondo un’opinione disumana e illiberale sempre più diffusa nel mondo i libertini morti ammazzati se l’erano andata a cercare; che la guerra a stento registrata dal presidente, e proclamata con enfasi dal Parlamento a Versailles, è fatta un po’ per finta e un po’ per delega, al riparo da una vera mobilitazione nazionale e occidentale di cui non si vedono le condizioni; che tutto è concentrato su misure di sicurezza e di difesa che valgono pochi spiccioli, sebbene di per sé siano necessarie, e sviano il grande dibattito nazionale sul terreno sdrucciolevole delle convenienze elettorali minori. La verità è che la libertà di pensiero è stata difesa da due milioni in piazza e subito negata dall’opinione comune, la guerra è stata intrapresa e insabbiata in un batter d’occhio, e quanto alla sicurezza gli stessi che la sparano grossa affermano che si deve convivere con il rischio alto di nuovi attentati e atti di sterminio, sanno che una buona rete di informazione è importante ma il resto è aria fritta.
[**Video_box_2**]Esce un nuovo diario dell’umanista conservatore Jean Clair. Secondo lui l’angelo custode del nostro patrimonio ereditario se ne è andato. Ma è una voce isolata, intelligente, tenera e disillusa nei toni, un bel timbro di pensiero, ma debole nel confronto con i tanti che oppongono la vitalità sorprendente e la dinamica della storia alla fissità regressiva dell’idea di eredità, i progressisti (che Dio li perdoni). E sopravanzata da profeti e pensatori della disfatta occidentale, quelli che si sparano davanti all’altare di Notre Dame, quelli che gridano lo scandalo dell’invasione islamica, oppure alludono al declino con malinconica sornioneria alla Houellebecq, e alimentano fenomeni di consumo di massa delle ovvie fobie che percorrono il profondo sociale. Sono convinto, e non so nemmeno bene perché me lo confermano i giorni parigini del grande anniversario, che solo da un ripiegamento nella tristezza e nella pietà del nostro tempo, dallo studio paziente, dalla coltivazione del giardino comune di storia e eredità, più che dalle vane indignazioni su cui saltano i nani da circo alla Trump, si può sperare di ripartire per un qualche dove che ancora non conosciamo. Situazione montaliana e novecentesca come poche: bisogna insistere su ciò che non siamo, e poi vedremo che cosa vogliamo, se vogliamo alcunché.
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