Gli intellettuali come Serra odiano la borghesia che odia la cultura solo perché ha sempre visto più lontano di loro
Sdraiato sulla sua amaca, Michele Serra rimpiangeva l’offerta culturale delle Feste dell’Unità di un tempo. Quelle di quando c’eravamo noi. Rimpiangeva l’orchestra della Scala che suonava nelle fabbriche. Allen Ginsberg che recitava William Blake (“ovviamente in inglese”) in una piazza di Sampierdarena “strapiena di gente”. Lo assaliva uno spleen quando dai “vecchi cassetti” riemergeva il “dattiloscritto ingiallito” di un comunicato stampa che sottolineava “il simbolismo ardente” di Dante, Leopardi e Dino Campana letti da Carmelo Bene all’Eur nell’84. Roba che oggi dovremmo fiondarci su Google: “forse cercavi simbologia ardente”. Boh. “Sarà che le cose ci sembrano peggiorate perché siamo invecchiati”, si chiede Serra, o sarà che la prima Repubblica non si scorda mai? Bella domanda.
A pensarci bene qui c’è una chiara “superiorità degli esempi perfettissimi degli antichi sui moderni”, come direbbe Leopardi. Guardiamoci intorno. Non ci sono più i comunicati stampa di una volta. Nelle fabbriche non si suona Boulez, William Blake ce lo leggiamo sul Kindle e alla Festa dell’Unità al massimo c'è Orfini che fa il karaoke. E allora diciamolo una volta per tutte. L’età non c’entra. Nessuna retrospezione rosea del passato. “Leggendo quel reperto del tempo che fu”, prosegue Serra, “dobbiamo ammettere che le cose sono oggettivamente peggiorate”. Oggettivamente. Tra i commenti dei lettori spunta pure chi rimpiange la televisione a due canali. Ah lo sceneggiato Rai! Ah quanti bei film! Ma vuoi mettere quel bianco e nero sbiadito! Che goduria. Poi un cumulo di volgarità, colori accesi e schermi HD comprati in saldo nei centri commerciali. Addio “simbolismo ardente”, benvenuto degrado morale. Come è potuto succedere?
[**Video_box_2**]Ce lo spiega Serra. “Dispiace dirlo, ma su questo terreno Berlusconi e la piccola borghesia che odia la cultura hanno stravinto. E la sinistra, per il terrore di essere snob, ha tradito il suo popolo”. Mira il tuo popolo, vecchia sinistra. “Com’è possibile che film brutti siano popolari? Com’è possibile che il popolo ami film non progressisti?” Si chiedeva L’Unità nel 1954, sgomenta di fronte al successo di “Don Camillo”. Chissà. Che sia meglio stare in fabbrica con la schiena rotta a sentirsi l’Orchestra della Scala anziché vedere X-Factor sul divano col delivery service che vi porta le alette di pollo panate è oggettivo. Mentre è soggettivo che oggi si possano guardare film, ascoltare musica e leggere libri come mai sino ad ora nella storia e senza passare dalla Festa dell’Unità. Perché dove la metti la piazza? E il popolo? Quella voglia di stare insieme? Ci verreste oggi a sentire i versi liberi di Allen Ginsberg sulla spiaggia di Castel Porziano col sacco a pelo per poi mangiare il minestrone sociale tutti insieme? No che non ci verreste, perché siete piccolo-borghesi rimbambiti di Masterchef. Perché che la piccola borghesia odi la cultura è un fatto oggettivo. Ma che gli intellettuali odino la piccola borghesia, e che la odino anche perché c’ha quasi sempre visto più lontano di loro, da Don Camillo a Checco Zalone, è un dibattito ancora tutto da fare.