Come ti rendo cool il multiculti. Il caso M.I.A. vs Psg
Per essere contemporanei occorre agire nel momento giusto. Proprio quando il mondo commemorava le vittime degli attentati di Parigi di novembre, proprio quando ci si interrogava sulla minaccia interna all’Europa, sullo smarrito senso identitario e sui valori autoctoni da opporre ai terroristi dell’Isis, M.I.A., rapper anglo-cingalese che un tempo avremmo definito hipster, pubblicava il singolo "Borders", coreografato da flotte di rifugiati che attraversano i confini.
M.I.A. nel video di "Borders" con la maglietta del Psg
Quel che poteva essere solo un video per terrorizzare gli anziani ("così arrivano i barconi, ci rubano la pensione") è al centro di una disputa tra la società calcistica Paris Saint German e la cantante. Il fatale errore di comunicazione è stato inviare a M.I.A. una lettera in cui si legge: "E' stata una spiacevole sorpresa vedere la cantante in questo video apparire due volte indossando la maglietta ufficiale del nostro team", scrive il direttore generale del Psg, Jean Claude Blanc. "Ancor più che stupefatti, semplicemente non capiamo perché siamo stati associati, con logo e maglia ufficiale della nostra squadra, a una tale denuncia". La lettera continua ricordando la rispettabilità e la popolarità della società in tutto il mondo, aggiungendo di aver donato un milione di euro in favore dei rifugiati e chiedendo la rimozione del video, oltre a un risarcimento danni. M.I.A. ha condiviso la richiesta via Twitter, dove in un colpo solo ha compromesso l’immagine pubblica e la rispettabilità del Psg, migliorando la propria.
Intervistata da Democracy Now! sulla faccenda, M.I.A. ha definito le maglie sportive come l’uniforme delle persone più svantaggiate: "Se guardi ai paesi nel terzo mondo, alle zone di guerre, agli slum, tra la middle class o tra la upper class, troverai sempre abiti sportivi. E' l’uniforme globale". La tuta sportiva è l’abito più comune, costa poco ed è accessibile. Forse c'entra anche il calcio, se come scrive Politico "non è l'unico sport in cui le minoranze hanno successo, ma ha sostituito la boxe come modo più visibile per i migranti di liberarsi del loro status di emarginalizzati". Per questo, vietare l'utilizzo di una maglia è un passo falso di comunicazione. E' come se l’Alfa Romeo avesse fatto causa alla cantante perché in "Bad Girls" ci sono arabi tamarri che impennano e sgommano nel deserto.
M.I.A. ci fa sentire vecchi da almeno dieci anni con la sua continua appropriazione di sottoculture e fashion system made in Tumblr, non sempre decodificati. Come la quasi totalità del rap, Borders è una canzone moralista e il testo è un continuo confronto oppositivo tra valori che consideriamo assodati e le inevitabili contraddizioni; il messaggio politico è essere meno egoisti e più comunitari e lottare contro le dominazioni per salvare il prossimo.
In passato è successo che persone famose fossero pagate per non utilizzare alcuni capi evitando una cattiva pubblicità al brand. Il caso recente più noto è quello di Michael Sorrentino, partecipante del reality Jersey Shore (soprannominato “The Situation” giusto per farci intendere il livello di mitomania) pagato da Abercrombie & Fitch per non indossare il marchio. È noto anche il meccanismo opposto, come è successo nel caso della ricollocazione del brand Burberry per merito di Angela Ahrendts, la quale è riuscita a strapparlo ai chav, i poveri della classe operaia inglese, e a rivalutarlo in un oggetto di lusso per una élite.
[**Video_box_2**]"Borders" è una canzone confusa, naif, da agitprop pop che trasforma la politica in prodotto (l'aveva intuito anche un caustico e critico Lynn Hirschberg sul Times). Come se non bastasse, M.I.A. ha diretto il video di "Borders" accentuando l'effetto visivo, ancor più che musicale, del suo prodotto. Non poteva sperare in una reazione più sciocca per pubblicizzare il proprio album e rafforzare la sua identità di antagonista al sistema. M.I.A. coniuga così la glamourizzazione dell’immigrato (già fatta con insuccesso nella moda, definita migrant-chic), all’appropriazione del brand (trasformato per l’occasione in Fly Pirates), riuscendo nella titanica impresa di rimanere rispettosa, trasformando in cool un fenomeno globale percepito unanimemente come problema. Intervistata sull’integrazione da al Jazeera dice: "Io ne sono il risultato, non vedo nulla di negativo nel multiculturalismo". Non è la sola.
Zlatan Ibrahimovic è nato in Svezia da madre croata e da padre musulmano bosniaco. E' cresciuto nel quartiere di immigrati ed è diventato uno dei calciatori più importanti del mondo. Anche lui certamente da giovane sognava di indossare la maglia dei suoi preferiti. E ci è riuscito.