Obiettare a Saviano
Interrogarsi sul caso di una ragazza morta per un aborto a Napoli è doveroso. Bisognerebbe poi sforzarsi, e interrogarsi anche, sotto il profilo culturale, su una madre che lamenta una morte “per un semplicissimo intervento”, o su una zia che dice “era una mattina come tante”.
Interrogarsi sul caso di una ragazza morta per un aborto a Napoli è doveroso. Bisognerebbe poi sforzarsi, e interrogarsi anche, sotto il profilo culturale, su una madre che lamenta una morte “per un semplicissimo intervento”, o su una zia che dice “era una mattina come tante”. Era un aborto. E’ meno interressante, perché si rasenta l’inutile assoluto, interrogarsi su quel che dice Saviano, Roberto Saviano. A meno di essere Maria De Filippi, o dei complottisti universali. Comunque. Sull’ultimo Espresso, la sua rubrica si intitola: “Se il diritto all’aborto c’è solo sulla carta”. Denuncia “una realtà agghiacciante, in cui le percentuali di obiezioni di coscienza dei ginecologi sono altissime, tanto da diventare obiezione di struttura, perché in molti ospedali non c’è nessun medico che pratichi l’aborto”. I numeri da “obiezione di struttura” evocati da Saviano cozzano un poco con quelli annualmente riferiti dal ministero, ma non è qui il punto, ci pensi la Lorenzin.
Il punto è un altro, è la conclusione giuridicamente folle che Saviano ne trae: “Ci sono paesi in cui quando un medico sceglie di specializzarsi in ginecologia, se ha intenzione di optare per l’obiezione di coscienza, viene invitato a cambiare indirizzo perché le priorità sono queste: prima la libertà della donna di decidere del proprio corpo, poi il diritto della donna a poter interrompere se lo desidera e se ne ha necessità una gravidanza, e poi la libertà del medico di non voler eventualmente praticare aborti. E questo ordine delle priorità non dovrebbe nemmeno essere oggetto di discussione”. Estendere la dittatura della “volontà generale” persino al contenuto del Giuramento di Ippocrate: questa sì è un’idea agghiacciante.