Perché noi di Progetto Dreyfus siamo col Foglio per la Giornata della kippah
Per molti ebrei italiani come me, legati ai loro concittadini di altra fede dall’amore per il paese che li ospita e dalla condivisione degli stessi valori, il Giorno della Memoria è vissuto da qualche anno con un filo di imbarazzo. Il ricordo della Shoah invade ogni spazio sui media e cessa di essere una presenza intima ed esclusiva nelle famiglie dei discendenti e diventa monopolio della collettività più ampia. Questa sovraesposizione per una piccola comunità come la nostra è difficile da gestire, accresce in noi un senso di ansia e fa sorgere degli interrogativi. Molti ebrei da qualche tempo si interrogano sul senso delle celebrazioni perché si rendono conto di quanto la ricorrenza ormai sia permeata di vuota retorica e si auspicherebbero piuttosto un anniversario più discreto. Nelle cerimonie poi è difficile unire quel tratto essenziale che va dalle minacce di ieri a quelle che oggi subiscono gli ebrei nel mondo e in Israele per alcuni è così doloroso che molti di noi, se potessero, rinuncerebbero addirittura a parteciparvi. Ma se la memoria non la intendiamo come celebrazione fine a se stessa ma come un mezzo per interpretare il presente, ecco che diventa profondamente attuale, quindi non solo auspicabile, ma quasi un imperativo morale. Fin troppo facile accostare le persecuzioni naziste all’attuale ondata di antisemitismo in Europa. Eppure c’è ancora qualcuno che pensa che la deriva antisemita sia sovrastimata, e pensa che gli ebrei siano vittime di una paranoia. Ecco perché nasce il bisogno di celebrare la Memoria, oggi: per impedire l’esodo coatto delle comunità francesi verso Israele e dotarsi degli anticorpi per scongiurare lo stesso esodo motivato dalla paura in Italia. La memoria ha un senso quando serve a ritrovare quel filo dove si era smarrito. Non solo per riportare in vita immagini sbiadite del terribile passato che fu, ma saper riconoscere i segnali pericolosi oggi, che vanno interpretati per evitare il ripetersi della storia.
L’uso della kippah per chi vive in Israele è un’esperienza che assume contorni meno scontati di quello che a prima vista può sembrare e molti che la usano, a seconda del colore si riconoscono in forme di ebraismo diverse. In Italia non è comune, sia perché gli ebrei sono pochi sia perché – pur dovere nell’ebraismo tradizionale – non tutti la usano. Indossarla o meno rimane una scelta personale, ma il poterla indossare manifestamente è un diritto inalienabile. Iniziative come il “Kippah Day” in Francia e la meritevole iniziativa del Foglio non sono dirette tanto agli ebrei che dovrebbero compiere questo gesto come precetto, quando avvertissero l’esigenza spirituale di indossarla, ma ai non ebrei come forma di vicinanza a chi oggi per indossarla in Europa corre il rischio di essere aggredito. Così come la famosa stella gialla cucita sul cappotto degli ebrei nella Shoah, così anche oggi un piccolo lembo di tessuto assume un forte valore simbolico. Ieri la stella veniva imposta, oggi vorrebbero imporci il contrario, di toglierci un tratto religioso distintivo e nascondere di fronte agli altri la propria identità per paura di innescare un’aggressione antisemita. La libertà di poter essere uomini tra gli uomini, senza rischiare la vita per quello che si fa, ma per quello che si è.
[**Video_box_2**]Progetto Dreyfus è un’associazione che vuole essere una piattaforma di dialogo tra le religioni, che oggi ha aiutato la redazione del Foglio nella sua piccola battaglia. L’intento è quello di creare un fronte contro il fondamentalismo, che non si manifesta solo come un carro armato per le strade, ma assume forme subdole, limitando le libertà occidentali giorno dopo giorno, costringendoci a rivedere le nostre abitudini, a rimuovere un crocifisso lì dove era sempre stato, a togliere il “maghen David” dal collo e appunto una kippah dalla testa. La memoria per non essere ripetitiva deve vestirsi di nuovi simboli e arricchirsi di nuovi significati: oggi ha preso la forma di un piccolo copricapo di raso in uso tra gli ebrei, che ci auguriamo possa essere indossato senza conseguenze da chi non solo ne fa un uso quotidiano ma anche da tanti nuovi amici che in questa giornata si stringeranno intorno a noi in nome di valori condivisi.
Alex Zarfati è Presidente di “Progetto Dreyfus”