La cura del ferro del ministro Delrio contro lo smog è costosa e inefficace
Nel corso dell’audizione alla commissione Ambiente della Camera sul tema delle strategie per la riduzione dell’inquinamento, il ministro dei trasporti Graziano Delrio ha affermato che “la prima strategia è la cura del ferro. L’investimento sulle linee metropolitane è necessarissimo”. Non è così: le evidenze empiriche di cui disponiamo smentiscono la tesi di Delrio (e, per la verità, di molti altri).
In tutti i paesi del mondo occidentale il miglioramento della qualità dell’aria degli scorsi decenni è da ricondursi quasi esclusivamente alla innovazione tecnologica dei veicoli. In assenza di tale evoluzione, tutte le città europee sarebbero oggi più inquinate rispetto agli anni settanta. Una migliore dotazione di infrastrutture e di servizi di trasporto collettivo ha, infatti, ricadute limitatissime in termini di “riequilibrio modale” a scala regionale o nazionale, come reso evidente dal confronto fra l'Italia e altri paesi che dispongono di più ferrovie, metropolitane e tram. E’ per esempio il caso della Svizzera, paese che, probabilmente, dispone della miglior rete di trasporti pubblici al mondo. Ebbene, anche nel caso elvetico la quota di domanda di trasporto soddisfatta dal mezzo privato si attesta, come in Italia ed in tutti gli altri maggiori paesi europei, intorno all’80 per cento.
Un paio di esempi possono aiutarci a comprendere meglio questa realtà.
Il primo è quello della metropolitana automatica di Torino, costata un miliardo e inaugurata in occasione delle Olimpiadi del 2006, che ha determinato una riduzione degli spostamenti in auto pari a circa l’1,5 per cento di quelli complessivi nell’area metropolitana. La riduzione della concentrazione di polveri sottili conseguita è dell'ordine di qualche decimo di microgrammo per metrocubo, un impatto quasi impercettibile se confrontato con la diminuzione di cento microgrammi dei precedenti trent’anni.
Il secondo è il recente Piano urbano della mobilità sostenibile del comune di Milano che, in linea con quanto auspicato dal ministro dei Trasporti, si propone come obiettivo una riduzione della quota di domanda di mobilità soddisfatta dal mezzo individuale a favore dei trasporti collettivi e degli spostamenti in bicicletta e a piedi. Se attuato integralmente, il piano comporterebbe maggiori spese e minori introiti per il settore pubblico pari a circa 200 milioni di euro all’anno ma, come riconoscono gli stessi autori del documento, non sarà il cambio modale a fare la differenza: “Il contributo più rilevante alla riduzione delle emissioni è attribuibile al progresso tecnologico nella progettazione dei veicoli a motore per il rispetto delle direttive europee in materia di emissioni da veicoli a motore e al progressivo ricambio nel parco veicolare circolante”.
Lungi dall’essere risolutiva, la cura del ferro rassomiglia a una terapia inefficace per una malattia dal decorso assai positivo e destinato a proseguire nei prossimi anni senza ricorso a un nuovo e costoso farmaco.
Francesco Ramella