Non distrarmi
Giacomo Leopardi non aveva Twitter, e nemmeno WhatsApp, Facebook, Google, la posta elettronica. Lavorava in un modo matto e disperatissimo e privo di distrazioni. Scriveva lettere, molte lettere, soprattutto alla sorella Paolina, a partire dai quattordici anni, e ne riceveva, guardava la luna, studiava il greco, l’ebraico, il francese, lo spagnolo, l’inglese, a diciannove anni traduceva l’Eneide, e non controllava le foto su Instagram, l’ora sul telefono, le previsioni del tempo, non perdeva tempo a cancellare email spazzatura in cui qualcuno annuncia che è stato bloccato un conto in banca, o che Felicity è in cerca del vero amore e spera di venire presto a casa nostra. Leopardi era infelice, però non era continuamente distratto dai bip, non era minacciato dalle cose che sconvolgono la nostra attenzione. Scriveva “L’infinito”, senza controllare le email ogni cinque minuti. Mentre urliamo ai nostri figli: metti giù quell’iPad, la nostra capacità di concentrazione non dura nemmeno il tempo di una bella sgridata, perché sentiamo il rumore di una mail in arrivo, e corriamo a controllare.
Uno studioso americano ha scritto sopra la nostra distrazione tecnologica e sociale un saggio, “Deep Work: Rules for Focused Success in a Distracted World”, in cui il lavoro concentrato, profondo (e disperato) viene trattato, nel Ventunesimo secolo, come un super potere, un’abilità perduta, qualcosa che produrrebbe enormi benefici, se solo riuscissimo a recuperare la capacità di concentrarci, se solo chiudessimo il telefono a chiave in un’altra stanza, o almeno chiedessimo a un lontano cugino di cambiare la nostra password di Twitter per un pomeriggio intero. Carl Gustav Jung viveva sei mesi l’anno in una torre nei boschi, senza luce né acqua, ma ci sono altri modi, sostiene l’autore del saggio, per non incenerire le cellule dell’attenzione con le chat scolastiche dei genitori. Bisogna tenere il conto del tempo speso in un lavoro senza distrazioni (distrazione è anche leggere un sms, distrazione è digitare il vostro nome su Google, non barate). Poi: programmare il tempo in cui si può usare internet (come con i videogiochi ai bambini, come con la tivù: le regole che stabiliamo per loro dovrebbero tener conto anche delle nostre debolezze) e il resto della giornata usare la modalità aereo e il telefono fisso. Sono previsti anche i grandi gesti, per dare il senso della grande impresa: un pioniere dei social media ha comprato e utilizzato un biglietto andata e ritorno (in business class) per Tokyo, per scrivere le pagine che aveva in programma. J. K. Rowling non riusciva a finire l’ultimo libro della serie di Harry Potter e si è chiusa in una stanza d’albergo a Edimburgo, senza mai uscire. Ci sono soluzioni meno dispendiose, e anche più eroiche: spegnere il telefono, avere una crisi di astinenza, sudare, ringhiare, rotolarsi per terra, imprecare, e infine concentrarsi.
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