Diario (musicale) del Festival
Sanremo, un dubbio dopo la terza serata: ma i cantanti in gara sanno cosa è una cover?
Esaurita la pratica giovani che pare non interessi molto a nessuno (nemmeno alla sala stampa che non vota durante il primo duello e l’operazione deve essere ripetuta a metà serata ribaltando il risultato a discapito della povera MIELE) ci si lancia nella serata cover. I brani della storia della musica italiana. Pronti via e si parte con Noemi che ci mette grinta, voce (urlata) e anche scollatura. Interpreta “Dedicato” della Bertè e, pur non proponendo nessun arrangiamento significativo o idee nuove, è la scelta giusta per passare alla “finale Cover”. Provano a stupire invece gli Zero Assoluto. In un afflato mal riuscito di originalità si cimentano nella riproposizione di "Goldrake" - famosa sigla del cartone animato- in una versione intimista, da ninna nanna. Ascoltarli sussurrare “va’ distruggi il male e va’” è abbastanza imbarazzante. Per non dire che il loro originale tentativo tanto originale non è. Alessio Caraturo nel 2007 la canta molto meglio e ci fa anche un video. Scelta sbagliata. Come quella di Caccamo e Iurato che presentano “Amore senza fine” (1998) di Pino Daniele che è una delle canzoni meno belle del meraviglioso repertorio del cantautore napoletano e la meno adatta ad un duetto. Proporre “Se mi vuoi” non sarebbe stato meglio?
Per fortuna il secondo gruppo si apre con Patty Pravo che presenta una “auto cover” . “Tutt’al più”, meravigliosa canzone del 1970. Al suo fianco il giovane rapper torinese Fred De Palma. Bisogna avere una certa considerazione di sé per proporre la cover di una propria canzone. La Pravo può. Già solo per questo bisognerebbe assegnarle tutti i premi del Festival. Ottima la sintonia con De Palma che coglie il senso profondo di un capolavoro della canzone italiana. Dolcenera invece rovina “Amore disperato” di Nada che si tramuta in un urlato brano dance, svuotato di tutto il significato culturale e rappresentativo della generazione anni ’80. Per non parlare di quello musicale. Questo secondo gruppo è vinto da Clementino che ripropone, senza infamia o lode, Don Raffaè di De Andrè.
A svegliarci dalla noia totale ci pensano ancora una volta Elio e le storie tese che con “Quinto ripensamento” regalano un altro capolavoro ispirato a "A Fifth of Beethoven", dalla colonna sonora de "La febbre del sabato sera". In verità non si tratta di una cover ma di un brano inedito. Ancora una volta gli Elii sono totali in tutto. Musica. Arrangiamento. Performance. Ironia. Ma in finale ci va Rocco Hunt in una gara (almeno quella di stasera) che sembra ammiccare al rap ruspante nazional-popolare. Passano i Bluvertigo senza lasciare il segno, Valerio Scanu finge di suonare il pianoforte, la Michelin trasforma “Il mio canto libero” in una canzoncina fatata con finale in stile Queen (vedi We Will Rock You) con tanto di tamburo solista. La serata si trascina al termine e ci assale il dubbio che a molti dei cantanti in gara non sia chiaro quel che significhi interpretare una cover: un momento di rilettura, nel quale si può mostrare un personale pensiero artistico- musicale (se lo si possiede) di fronte ad un lavoro altrui. Molti dei concorrenti si cimentano in scimmiottamenti di caratteri musicali e umani, cercando solo l’applauso facile, il sentimento primordiale e qualche manciata di voti da casa. Vincono gli Stadio o meglio vince Lucio Dalla con "La sera dei miracoli" e la sua gigantografia al fondo del palco ci fa spegnere la tv un po’ tristi ma anche grati.
Universalismo individualistico