Album di famiglia
Palmiro Togliatti con la testa fasciata, dopo l’incidente in montagna con Nilde Iotti, fotografato mentre legge l’Unità. Elsa Morante al matrimonio di Renato Guttuso, con altri amici, pochi, fermati dalla macchina fotografica mentre chiacchierano in Campidoglio, nel dicembre 1950. Una quasi sconfinata giovinezza, molte illusioni, tutti con l’aria grave e frettolosa di chi sta preparando qualcosa di importante, di assolutamente necessario: Luchino Visconti, Alberto Moravia, Carlo Levi, Mario Alicata, Pablo Neruda e la Morante sono stati fermati per sempre, e non in posa, dallo sguardo di Antonello Trombadori, che allora aveva trentatré anni e una fotocamera comprata a Berlino, una Contax Zeiss-Ikon.
Per sei anni ha raccontato con le fotografie, forse solo per sé, una storia sentimentale di Dopoguerra, cultura e rivoluzione (a Villa Massimo si andava a scuola di “marxismo leninismo”, ci si allenava a diventare “uomini di Stalin” e poi si giocava a pallavolo: Trombadori ha fotografato i ragazzi che fumano, le compagne militanti che sorridono al sole, qualcuno legge “Il Lavoratore” anche durante la posa per la foto di gruppo). Sembrano, adesso, i protagonisti di un romanzo. Intellettuali, artisti, politici di cui non abbiamo mai neanche immaginato la vita privata (Togliatti che quasi si lascia abbracciare da Nilde Iotti) sono ritratti dentro un libro malinconico e prezioso, di Duccio Trombadori, critico d’arte, pittore e poeta, che in “Album di famiglia” (Manfredi Edizioni) ha raccolto le fotografie private di suo padre Antonello (funzionario del Pci, parlamentare, giornalista, appassionato d’arte) dal 1949 al 1955: fotografie davvero di famiglia, in cui la famiglia comprende Pablo Picasso in giro per Trastevere, e Giuseppe Ungaretti seduto in trattoria a Venezia, Giorgio Morandi, il pittore Fernand Léger, e poco lontano Duccio Trombadori bambino, che osserva quel mondo in cui Picasso è accusato da Togliatti di dipingere “orrori e scemenze”, e ci si deve conformare a quella critica, e in cui ogni gesto, anche la mano che stringe un bicchiere di vino, sembra carico di necessità, di speranza grave e appassionata di un cambiamento da costruire.
[**Video_box_2**]Guttuso dipinge il ritratto di Pablo Neruda, che sta lì seduto, serio, ma in un’altra foto sorride, dentro uno studio carico di tele e di amici, e viene da immaginare le conversazioni sul futuro, sul partito, sulle cose necessarie e sulle comuni imprese, qualcuno che propone di andare a prendere un caffè. E il viaggio in Cina, con Norberto Bobbio, Carlo Cassola e gli altri, per osservare la rivoluzione maoista. Nonostante gli abbagli, e la grandezza degli errori, e quel sorriso amaro che provoca l’intensità e la serietà degli sguardi, nel 1955 a Pechino, in tutte queste foto c’è l’idea privatissima del tempo migliore della vita, quello che appartiene a tutti, e di cui ci accorgiamo solo quando è fuggito via per sempre.