Così il sito più millennial d'America dichiara guerra ai millennial
Roma. Non c’è nessuna pubblicazione più millennial di Fusion. Il conglomerato mediatico, che è concentrato intorno a un canale televisivo ma comprende un sito di news e di cultura pop con oltre dieci milioni di visitatori unici al mese, è nato alla fine del 2013 con l’obiettivo specifico e dichiarato di attirare un pubblico di millennial che non si riconosce nell’informazione tradizionale. In pochi mesi Fusion ha attirato talenti riconosciuti come Felix Salmon e Jorge Ramos, e la sua capacità, a volte efficace e a volte meno, di coinvolgere il pubblico dei millennial senza fare eccessivo uso di listicle (le dieci cose che…) lo ha reso un sito di riferimento. Ma adesso Fusion, la pubblicazione più millennial che c’è, dice che il concetto di millennial è una “bugia”, un “mito”, “bullshit”. Una parola da evitare con pruderie definendola “m-word”. La parola millennial non è rappresentativa di una generazione, e forse la generazione stessa, che comprende i nati tra gli anni Ottanta e i Novanta, non esiste. La ragione? Le diseguaglianze economiche.
Due giorni fa il sito di Fusion ha inaugurato una nuova serie di articoli intitolata “Uncovered”, con l’intento di raccontare i millennial della working class spesso ignorati dalle storie generazionali di startupper posh e di laureati disoccupati a casa della mamma. Questa categoria di “ventenni istruiti della upper middle class” viene considerata come depositaria della definizione di millennial, ha scritto Nona Willis Aronowitz nel pezzo di presentazione, mentre una maggioranza silenziosa di giovani appartenenti alla working class, spesso poveri e precari, rimane nell’ombra. Per questo è venuta l’ora di dichiarare guerra alla parola millennial, simbolo tra tanti delle diseguaglianze economiche e sociali della nostra èra. Mentre alle primarie democratiche il messaggio contro le ingiustizie e le sperequazioni del socialista settantenne Bernie Sanders infiamma a tal punto i millennial da privare Hillary Clinton del voto femminile sotto i 45 anni, il magazine millennial Fusion prende in prestito la stessa retorica per mettere sotto accusa la sua stessa identità. Willis Aronowitz mostra dei casi nella stampa americana in cui i millennial sono tutti middle class, istruiti, bianchi, e arriva a tanto così dal dire che su questo tipo di rappresentazione è fondata gran parte degli articoli della stessa Fusion. Ma il problema non sono solo i millennial: “Le ossessioni dei media intorno alla generazione X e ai baby boomer erano ugualmente concentrate sulla metà più ricca” della popolazione, scrive l’autrice, e a questo punto la questione sembra essere come applicare la lotta di classe al concetto di generazione. E’ l’ossessione per le diseguaglianze al suo massimo: dopo avere colonizzato il femminismo e aver convinto le ragazze a votare Bernie, il prossimo obiettivo è convincere i giovani che poiché esistono i millennial poveri loro non possono più farsi chiamare millennial, etichetta dei padroni.