I letti separati sono diventati un gesto sovversivo, una volgarità, un desiderio segreto di cui vergognarsi
Nell’elenco americanissimo delle cose vietate o pericolose da fare in tivù, nel 1927, al diciannovesimo posto fra quelle pericolose c’era: uomo e donna a letto insieme. Uomo e donna (ma ognuno, quasi un secolo dopo, immagini la combinazione che preferisce) che dividono il letto, di notte, per dormire, che sommano il proprio corpo a quello di un altro, al buio, quando tutto può succedere. Nel 1927 era una condizione che suggeriva “volgarità”, adesso è il contrario, è una specie di dovere sociale (almeno quanto l’amore), sia dentro la televisione sia dentro la vita dei giorni comuni. Agli ospiti invitati a cena verranno tenuti nascosti i segni di utilizzo della stanza degli ospiti (i libri sul comodino, i sonniferi, la bottiglia d’acqua sempre mezza vuota), per evitare che tornino a casa con l’eccitante certezza che quel matrimonio è finito: dormono in camere separate, poveretti (senza mai osare rivelare il pensiero segreto, quando affiora: beati loro).
L’imperativo categorico dell’amore percepito all’esterno è: dormire insieme. Ci sono coppie esibizioniste che scelgono letti da una piazza e mezzo per mostrare a tutti quelli che entrano in camera da letto che loro due hanno bisogno di stare appiccicati, aderenti l’uno all’altra. Le camere separate, o la notte trascorsa sul divano, o su un futon in salotto per il mal di schiena o per il russare di uno dei due, portano con sé una delusione, una rinuncia, la fine simbolica di un entusiasmo amoroso. Si possono prendere tutti gli spazi esistenti, di giorno, si può mentire, tradire, allontanare, ignorare, spezzare il cuore, ma la notte no.
[**Video_box_2**]Un letto tutto per sé è un piccolo scandalo sentimentale, anche se un’indagine americana su coppie a cui è stata garantita la riservatezza ha rivelato che solo il cinquanta per cento di questi adulti sposati o conviventi dorme davvero sempre insieme, come missione di vita avvinghiata. L’altra metà accampa scuse, e spera in almeno due giorni a settimana di libertà notturna (per sdraiarsi a stella, tenere accesa la tivù tutta la notte, spalancare la finestra, sbriciolare i crackers dentro le lenzuola, chattare, non dividere le coperte). Balbettano che il bambino ha gli incubi e che da un mese o due (quindi cinque o sei anni) si fanno i turni per tenergli compagnia, o che il marito è spesso via per lavoro e quando torna tardi la sera preferisce non disturbare. Solo il tre per cento racconta di dormire nella stessa camera, ma in letti distanti. E solo le coppie più anziane non provano imbarazzo nel rivelare che la sera ci si dice buonanotte, e ognuno si chiude (a volte a chiave) nella propria stanza. (Gli ipocondriaci, invece, pretendono una persona accanto: se mi sento male svegliati, chiama aiuto, salvami). I letti separati, che secondo i ricercatori significano una cosa precisa: niente sesso, sono diventati quello che il letto unico era nel 1927: un gesto sovversivo, da non mostrare in pubblico. Anche un po’ volgare.
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