Contro l'Italia delle scie chimiche
Elena Cattaneo è diventata nota al grande pubblico dopo la nomina a senatrice a vita del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed ha assunto un ruolo centrale del dibattito pubblico per le sue prese di posizione contro la pseudocura Stamina, a favore degli Organismi geneticamente modificati (Ogm), per lo studio dei genomi italiani, a favore della sperimentazione animale, in difesa dei ricercatori accusati di avere diffuso la Xylella e contro le invasioni di campo della politica e della magistratura. Libertà di ricerca, difesa del metodo e delle evidenze scientifiche, sono princìpi che la Cattaneo difende nell’arena pubblica arrivando anche allo scontro con attivisti ambientalisti, animalisti, forze politiche e ministri. Non si può dire che abbia preso il laticlavio come una specie di dopolavoro, sul caso Stamina ad esempio ha scritto insieme al senatore di centrodestra Luigi D’Ambrosio Lettieri (laureato come lei in Farmacia) una lunga indagine conoscitiva che ha messo in evidenza gli errori di governo, Parlamento e magistratura proponendo un decalogo per rimediarvi. Sulla libertà di ricerca in campo aperto per gli Ogm ha presentato un ordine del giorno trasversale che ha messo in difficoltà il governo e tra un’audizione e l’altra in Senato ha scoperto che gli studi anti-Ogm del professor Federico Infascelli, portato in palmo di mano dal Movimento 5 Stelle, erano taroccati. La professoressa Cattaneo, ordinario di Farmacologia alla Statale di Milano, ci riceve nel laboratorio di Biologia delle Cellule Staminali e Farmacologia delle Malattie Neurodegenerative da lei diretto, all’interno della nuovissima sede dell’Istituto Nazionale di Genetica Molecolare, dove insieme al suo team di giovani e meno giovani ricercatori (molte donne) studia da oltre 20 anni la Còrea di Huntington, una malattia genetica e neurodegenerativa senza cura che colpisce la coordinazione muscolare e le capacità cognitive.
La incontriamo per parlare del rapporto della scienza con la politica e la giustizia in Italia, dello stato di salute della ricerca scientifica, ma si vede da come le brillano gli occhi e dall’entusiasmo che ci mette nella descrizione che ciò di cui più le piace parlare è l’avanzamento dei suoi studi sulla malattia di Huntington. Spiega la meraviglia di avere scoperto quello che l’Economist ha definito un “patto faustiano”: questa brutta malattia neurodegenerativa potrebbe essere la chiave per capire l’evoluzione del cervello umano. “E’ bellissimo studiare le cose che nessuno conosce, mi stupisco ogni giorno del fatto che in laboratorio si possano studiare cose accadute milioni di anni fa – dice la professoressa – Il gene Huntington è presente in forma non patologica in tutte le persone, è nato 800 milioni di anni fa in un’ameba, il primo organismo pluricellulare comparso sulla terra. Il gene nasce senza lettere “CAG” poi questa tripletta compare e si trova ripetuta 2 volte, CAGCAG, nel gene del riccio di mare che ha un abbozzo di sistema nervoso, il pesciolino zebra che ha un sistema nervoso più evoluto ne ha addirittura 4 di ripetizioni e poi via via il CAG aumenta: nel topo ce ne sono 7, nel cane 10 e nella scimmia ancora di più. Il CAG nel mio gene è ripetuto massimo fino a 35 volte. Quando impazzisce e supera le 35 diventa malattia. Vogliamo capire perché questo gene con quelle lettere potenzialmente pericolose sia arrivato a noi e non sia stato contro-selezionato dall’evoluzione che elimina il rischio per la specie. Noi pensiamo che quei CAG abbiano avuto un ruolo nella costruzione del sistema nervoso. E anche oggi possono avere un significato. Una persona su 17 ha un CAG molto alto tra 27 e 35 e chi ha più CAG ha anche più materia grigia in una zona del cervello”.
Si ascolta a bocca aperta, come per dire: e allora? “Questa storia ci sta dicendo una cosa fenomenale, che questa malattia non è un errore genetico, potrebbe essere il tentativo dell’evoluzione di aggiungere capacità cognitive all’essere umano. Quando racconto questa cosa ai malati, a cui non possiamo ancora offrire una cura, sono affascinati: capiscono di non essere portatori di una ‘tara’ genetica, ma di essere l’avamposto dell’evoluzione. Ora con la sperimentazione animale vogliamo capire come evolve quel CAG e sviluppare ogni strada verso una cura”.
Oltre che della frontiera dell’evoluzione e della ricerca scientifica, Elena Cattaneo da poco si occupa anche della politica, avamposto della decisione collettiva e luogo per eccellenza in cui “l’animale politico” stipula patti faustiani, un mondo che però ha con la comunità scientifica rapporti spesso conflittuali su temi cosiddetti “divisivi”. “Per quanto importantissima per una nazione, la politica è fragile, vittima di sé stessa e della necessità di alimentare la propria sopravvivenza – dice la senatrice a vita –. Inventa spesso escamotage per non discutere di ciò che può portare a risultati opposti a ciò che crede sia vantaggioso elettoralmente”. Ma è un approccio che cozza con quello scientifico. “Per discutere di futuro e innovazione servono persone che vogliano veramente indagare i fatti. Non è colpa del politico non sapere di staminali o di Ogm, anche se almeno a livello ministeriale certe informazioni dovrebbero averle, ma quando si fanno le audizioni l’impressione è che tante volte i politici coinvolgano in modo preconcetto gli esperti che depongono a proprio favore. E poi si scopre anche che alcuni dicono cose false”. Il riferimento è a Federico Infascelli, professore di Nutrizione animale alla Federico II di Napoli, esperto caro al Movimento 5 Stelle, che aveva presentato in queste audizioni alcuni studi che dimostravano la pericolosità degli Ogm. Dopo aver ascoltato quelle affermazioni così in disaccordo con le conoscenze della scienza sul tema, la Cattaneo si è messa a studiare le ricerche del professore napoletano e, complice una stampa su carta riciclata che metteva in evidenza alcune anomalie, si è accorta che le foto utilizzate non quadravano. Sono seguite richieste di spiegazione, a cui non è giunta risposta, e ulteriori approfondimenti che hanno dimostrato come i lavori di Infascelli e del suo gruppo fossero taroccati, manipolati ad arte per dimostrare la pericolosità dei mangimi Ogm. Proprio il tema degli Ogm è uno di quelli che più l’appassiona e su cui è più attiva, sia in Parlamento che nel dibattito pubblico, una delle poche voci che fa chiarezza scientifica su un argomento dominato dalla retorica ambientalista, no-global e decrescitista. Ne scrive sulle pagine di Repubblica, dove le fa da contraltare Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e nemico giurato delle biotecnologie e della chimica in agricoltura, che prova a rispondere agli argomenti scientifici della Cattaneo con questioni più antropologiche e culturali. Ma non è un dialogo tra sordi? E’ possibile trovare un terreno comune di discussione o è impossibile far dialogare scienza e cultura umanistica? “Le elaborazioni culturali sono importantissime, nei laboratori non possiamo prescindere da una serie di discipline come la logica, la filosofia o la storia della medicina. Se questa è la cultura, si integra perfettamente con la scienza. Ma se cultura è raccontare storielle allora è un’altra cosa, quelle sono baggianate”. Al contrario di quello che si può intuitivamente pensare, più che la scienza sono state le “storielle” a spingere la Cattaneo ad interessarsi di Ogm e a discuterne pubblicamente: “Ho cominciato ad occuparmene dopo aver letto proprio un articolo di Petrini, che diceva che gli Ogm sono pericolosi per la salute. Mi sono chiesta, ad esempio, come fosse possibile che il ministero non sapesse che i nostri animali si nutrono di cose pericolose. Questa non è cultura umanistica, è intorpidimento delle acque ed è chiaro che confligge con la scienza perché si lanciano messaggi ingannevoli. Va bene promuovere l’idea del buon cibo, ma anche nel biologico si usano sostanze chimiche pesantissime che restano nel terreno. Biologico, Ogm e coltivazione tradizionale sono etichette per riferirsi a piante che sono nutrizionalmente identiche. Si gioca molto sul valore percepito: la parola biologico evoca cose naturali e benefiche, ma i consumatori devono sapere che non c’è nessun vantaggio dimostrato per la salute e l’ambiente”.
Ma l’agricoltura biologica è diventata una specie di politica strategica nazionale, impossibile avanzare critiche. “Il ministero dice che il consumo del biologico è aumentato del 17 per cento, ma è passato dal 3 al 3 virgola qualcosa, il restante 97 per cento degli italiani consuma altro, 10 milioni di persone fanno la spesa al discount. C’è spazio per tutti, a patto che si dica la verità: vuoi coltivare il biologico e immetterlo nelle grandi catene di distribuzione alimentare facendolo pagare il 50 per cento in più? Fallo, ma non raccontare menzogne sulla indimostrata migliore qualità e non impedire altre tecnologie che possono mettere a disposizione buon cibo a costi più contenuti per un gran numero di persone. La questione non riguarda solo la libertà della ricerca, ma anche degli agricoltori e delle imprese. Non capisco perché a loro si debba impedire per legge di coltivare qualcosa che l’Europa e gli organi deputati al controllo definiscono sicuro per la salute e l’ambiente. Perché si deve impedire la libertà d’impresa?”. Ora al ministero delle Politiche Agricole c’è Maurizio Martina, che sul tema sembra meno ideologico di alcuni suoi predecessori di destra e sinistra come Gianni Alemanno e Alfonso Pecoraro Scanio. Ad esempio ha recentemente aperto ad alcune nuove biotecnologie per il miglioramento genetico, come il “genome editing” che consiste nel modificare puntualmente il Dna delle piante o la cisgenesi che trasferisce geni all’interno della stessa specie. Si tratta di tecniche diverse dalla tanto contestata transgenesi, in cui un gene per esempio batterico viene inserito nel mais per ridurre l’impiego di agrofarmaci, ma che produrrebbero gli stessi effetti, ovvero un miglioramento genetico che permetterebbe di rendere le varietà tradizionali resistenti ai nuovi patogeni. Con il ministro Martina la senatrice a vita aveva avviato un confronto ponendo due anni fa dalle colonne del Sole 24 Ore 16 domande sugli Ogm, che evidenziavano alcuni problemi di fondo e diverse contraddizioni nella posizione dello sul tema dello stato italiano. “Non ho ricevuto alcuna risposta. Il ministro mi aveva promesso un appuntamento un anno e mezzo fa, ma è saltato”. Anche sul cambio di passo rispetto ai predecessori la scienziata è scettica. “Non so se sia meno ideologico o no, so solo che la scienza si basa sui fatti e dobbiamo partire da quelli. Ci sono tante cose che non tornano: nelle aperture al “genome editing” e al cisgenico non c’è nulla di nuovo, perché consente ai laboratori di fare quello che già stanno facendo. L’apertura, se uno davvero considera queste tecnologie non-Ogm, ma è solo una distinzione giuridica per sottrarle all'assurdità dei divieti vigenti, consisterebbe nello sbloccare la ricerca in campo aperto. Questo è un governo che come i precedenti impedisce la ricerca pubblica, che vuol dire impedire il diritto alla conoscenza, tra l’altro senza essere in grado di spiegare perché la libertà di ricerca debba essere limitata”.
Qualche anno fa lo stato italiano costringeva il professor Eddo Rugini dell’università della Tuscia a mandare letteralmente al rogo 30 anni di ricerche sugli Ogm, un atto di una violenza senza pari, che ricorda il processo a Galileo Galilei e che, se si fosse trattato di libri anziché di piante, avrebbe spinto tutti a evocare i roghi nazisti. Eppure la comunità scientifica è rimasta silente, ha accettato che tranquillamente venissero distrutti anni di lavoro e di ricerca. “La comunità scientifica spesso si mostra impacciata. Mi ha sempre stupito che a questi colleghi sia stato impedito di studiare e nessuno di loro abbia fatto causa. Lo ha fatto Giorgio Fidenato, un imprenditore, ma nessun scienziato. In misura minore, quando mi è capitato con la vicenda delle staminali embrionali, ho fatto causa a un governo. Era il governo Berlusconi, ma avrei fatto lo stesso con qualsiasi altro governo. Lo scienziato, con lo stesso coraggio con cui affronta ogni giorno la ricerca dell’ignoto, deve affrontare tutte le dimensioni della scienza, rivendicando i necessari e incomprimibili spazi di libertà e il diritto di conoscere. E deve farlo ad ogni costo”.
Proprio sul tema della libertà di sperimentazione degli Ogm in campo aperto, la Cattaneo era riuscita a presentare al Senato un ordine del giorno trasversale, poi ritirato dietro impegno del governo di risolvere la questione “entro la pausa estiva”. “Era maggio 2015 e non è successo più niente, l’impegno è ancora sospeso nell’aria – dice con sconforto – Vietare queste sperimentazioni è come far costruire nuove macchine alla Ferrari ma impedire all’azienda di provarle su pista, o come dire a me di studiare l’Huntington con cellule in laboratorio ma senza mai poter accedere all’uomo. In Italia non si può nemmeno parlare di garantire ai nostri studiosi la libertà di ricerca e poi ci si domanda perché se ne vanno all’estero”.
A proposito della ricerca, da poco c’è stata la polemica tra il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e una ricercatrice italiana, che si è sentita tirata per la giacchetta per i risultati ottenuti all’estero. Qual è lo stato di salute della ricerca in Italia? “La situazione è sull’orlo del precipizio, ci sono gruppi da ammirare in termini di capacità e produttività, ma sono isole felici. Il dramma della scienza è che ha a che fare con governi che pensano alle prossime elezioni e non ai progetti per i prossimi 10 anni. Si va avanti con i bonus da 500 euro per diciottenni, ma abbiamo bisogno di creare strategie e strutture per alzare la produttività, che non significa consumare ma investire in cultura, mettere in grado ricerca e industrie di produrre competenze e professionalità”. Sembra di sentire la solita, giusta e comprensibile lamentela dei ricercatori per la carenza di risorse, ma il problema è molto più profondo. “Tutto l’ambito della ricerca e della programmazione è abbandonato all’improvvisazione. Non credo che sia solo un problema di pochi fondi disponibili, anche se è vero che i finanziamenti per la ricerca hanno dosi omeopatiche. Il vero dramma è l’inaffidabilità, la ricerca non si può fare in maniera discontinua, senza sapere cosa farai l’anno dopo. C’è poi l’illogicità: il Parlamento decide che si deve fare per legge una sperimentazione clinica come nel caso Stamina, che è una cosa che sconvolge, oppure un ministro come Martina propone di creare corsi universitari sull’agricoltura biodinamica. Non è possibile che non si sia in grado di distinguere tra competenze, professionalità e ciarlataneria”.
In effetti insegnare in università l’agricoltura biodinamica, che si basa su convinzioni spirituali ed esoteriche e prevede pratiche da stregoni come seppellire corni di vacca pieni di letame, sarebbe come tenere corsi di astrologia in un dipartimento di Fisica. Ma l’avanzare di teorie antiscientifiche o pseudoscientifiche non riguarda solo la politica, negli ultimi anni abbiamo assistito a incursioni in questo territorio ancora più scioccanti da parte della magistratura, come nel caso delle prescrizioni della terapia Di Bella o più recentemente del trattamento Stamina, delle assurde inchieste sulla correlazione tra vaccini e autismo, dell’accusa di diffusione di malattia ai ricercatori che studiano la Xylella in Salento. “Il dialogo della scienza con la magistratura è a stadi ancora più primitivi rispetto alla politica – dice la senatrice – Se ne parlerà all’Accademia dei Lincei il prossimo 9 marzo. E ci sono degli esempi interessanti che si possono acquisire dall’estero, come gli standard Daubert negli Stati Uniti per acquisire le prove. Non si può lasciare che sia il magistrato a scegliere il perito che più gli piace. E’ vero che spesso in Appello e Cassazione questi processi evaporano, ma nel frattempo causano tanti danni, come nel caso Stamina, dei vaccini o Xylella. Non si può imputare a un magistrato di non conoscere gli argomenti scientifici, ma come si scelgono le consulenze è fondamentale. E invece così come capita che una parte della politica scelga gli auditi a proprio vantaggio, lo stesso accade – consapevolmente o no – nella giustizia con i periti”.
[**Video_box_2**]Le questioni pongono due tipi di problemi, uno che riguarda la diffusione della cultura e della comprensione della logica scientifica nella società. Ed è una questione che richiede anni e forse qualche ripensamento su come funzioni il sistema educativo. Ma l’altro riguarda la conflittualità tra il metodo scientifico, che fa emergere la verità dal basso dopo un confronto paritario tra diverse tesi, e il metodo politico-giudiziario che invece impone decisioni dall’alto. Non è una conflittualità insolubile? “Capisco che la politica e la giustizia abbiano le loro modalità, esigenze e specifici campi di competenze, a loro spetta l’ultima parola. Ma inorridisco all’idea che il potere di decidere sia usato per stravolgere i fatti cui ancorare la decisione. Non si può decidere a prescindere dai fatti e la scienza offre una descrizione dei fatti al meglio delle nostre possibilità. Il metodo scientifico accerta i fatti e li affina continuamente, riducendo sempre più il margine di errore, non conosco altra disciplina che riesca a fare questo. Va rivendicata la forza di questo metodo, come si può farne a meno?”. La paura è quella di cadere preda dello scientismo, come se ogni problema o questione con ricadute morali, economiche e sociali debba essere risolta da esperti e scienziati. “Nessuno sostiene che la scienza sia la verità, ma solo un metodo per capire meglio la realtà. Se guardo a temi come staminali, Ogm, vaccini e sperimentazione animale, è legittimo avere posizioni contrarie, ma non si può dire che sono inutili. Devi convincere le persone che la tua posizione sta in piedi da sola, senza stravolgere i dati acquisiti dalla scienza. Perché, più che lo scientismo, il vero pericolo con questo atteggiamento è quello di alimentare la propensione delle persone nel credere alle suggestioni indimostrabili, dalle scie chimiche al potere dei talismani di cui è preda il nostro paese”.