Lezioni da Oscar
A lezione c’eravamo. Ora andiamo a casa e facciamo anche i compiti post Oscar. Mai come quest’anno la lunghissima serata, già in seria crisi di ascolti, ha trascurato lo spettacolo privilegiando le cause da difendere. Chris Rock, presentatore della serata e unica perla nera di fronte a una platea di candidati bianchi, ha scherzato sugli Oscar – e sulle tragedie – passate: “Negli anni Cinquanta avevamo problemi più seri da affrontare. Quando la tua bisnonna penzola da un albero è difficile interessarsi al vincitore della statuetta per il miglior cortometraggio straniero”.
Il tipo di battuta che solo un comico nero può fare – e finora gli interessati hanno mostrato più senso dell’umorismo di altri gruppi etnici. Vale anche per l’aggiunta: “Nello spazio dedicato ai defunti, saranno commemorati i neri uccisi dai poliziotti mentre vanno al cinema”. Mentre tutti si occupavano dei neri, è sfuggito ai più che da tre anni la statuetta per il miglior regista va a un messicano: Alfonso Cuarón con “Gravity”, e per due anni consecutivi Alejandro González Iñárritu.
Presentata da Joe Biden, Lady Gaga in abito bianco come il pianoforte e fermissime onde color platino ha cantato con enfasi esagerata – stiamo parlando di spettacolo, non dovrebbe avere la stessa impostazione vocale di un comizio – “Til it happens to you”. Vita vissuta, la canzone sta nel documentario di Kirby Dick sulle violenze sessuali nei campus intitolato “The Hunting Ground” (“Il terreno di caccia”, e del resto la canzone si intitola “Finché capita a te”, ci fu chi per avere giustizia andò in giro con un materasso legato alla schiena). Coro muto di vittime della violenza, tutte sul palco con scritte tatuate sul braccio. Pubblico che non si lascia scappare l’occasione per una standing ovation. Al pari della furbissima dedica usata dalla fumettista Claire Bretécher in un suo libro – “A colui che mi ha insegnato tutto quel che so” – l’applauso per la giusta causa costa poca fatica e rende moltissimo. Con molto meno (la richiesta era “parità di milioni nel cinema tra donne e uomini”) Patricia Arquette ha avuto l’anno scorso un rimbalzo di carriera stupefacente.
[**Video_box_2**]Tra il razzismo e la violenza sulle donne si incastrava bene la pedofilia nella chiesa cattolica, quindi come miglior film i giurati dell’Academy hanno premiato “Spotlight” di Tom McCarthy. “Il caso Spotlight”, per noi spettatori alla periferia dell’impero, ignari del fatto che “Spotlight” non era un caso ma la sezione investigativa del Boston Globe che indagò sui pedofili di Boston. Ogni causa ha avuto il suo “mai più”, come si usa in queste circostanze.
Noi intanto speravamo in una vittoria di “Mad Max: Fury Road”, o almeno del suo regista George Miller. Il film ha fatto incetta di premi tecnici, essendo sfuggito ai più che quando la tecnica arriva a quei livelli è capolavoro. Di più: se dobbiamo avere un modello, preferiamo Charlize Theron rapata e combattente con il suo moncherino a Lady Gaga cantante. Non siamo neppure riusciti a godere la vittoria di Leonardo DiCaprio. Attesa fin troppo a lungo, e arrivata per un film paragonato dal New Yorker a Donald Trump: occupa più spazio di quel che merita.