Così il boicottaggio di Israele si insinua tra gli accademici dell'Università di Torino
A sollevare dubbi circa l'occupazione è il professor Ugo Volli, semiologo, sentito dal Foglio. Uno studente, che preferisce l'anonimato, ricorda di essere stato invitato a lasciare l'aula dal personale del Campus Einaudi mezz'ora prima dell'inizio dell'esame. La ragione: le aule devono rimanere chiuse a chiave fuori dagli orari di lezioni o esami e solo il docente o il personale sono autorizzati ad aprirle. Ci sono quindi due possibilità secondo Volli: o i dipendenti hanno infranto le disposizioni dell'ateneo, e se ciò fosse appurato meriterebbero almeno un provvedimento disciplinare, oppure ci sono gruppi in possesso delle chiavi. In caso di scontri o di un semplice infortunio accaduto nell'aula la responsabilità sarebbe ricaduta sulle spalle dell'università. Il rettore Gianmaria Ajani, attraverso l'ufficio stampa, ha fatto sapere che non verrà intentata azione legale né verrà preso alcun provvedimento disciplinare. Rosario Ferrara, direttore della scuola di Scienze giuridiche, politiche, economiche, sentito dal Foglio, ha tenuto a precisare che, dopo le verifiche del personale, non è stato riscontrato alcun danneggiamento ai locali né alcun rifiuto fuori posto.
Nel volantino dell'evento si accusava il Technion di essere “coinvolto nell’occupazione e nell’apartheid della Palestina”. I rettori di entrambi gli atenei torinesi hanno comunque precisato che la collaborazione scientifica tra gli istituti non prevede alcun tipo di applicazione militare e riguarda esclusivamente gli ambiti di Salute, acqua e agricoltura. La revoca poi violata dell’utilizzo dell'aula è stata illustrata da Rosario Ferrara che ha spiegato come gli studenti avessero parlato di un dibattito plurale. Ma ciò non sarebbe accaduto, a causa delle posizioni comuni dei due relatori, entrambi favorevoli al boicottaggio di Israele. A loro difesa il gruppo di studenti ha spiegato che non era stato promesso alcun tipo di contraddittorio. Tanto che le ragioni apportate dall'ateneo per far valere la revoca dell’utilizzo dell’aula sono state contestate dal collettivo “Studenti Indipendenti” (che rappresenta la maggioranza nel Consiglio degli studenti e figura tra gli organizzatori dell'assemblea al fianco di “Progetto Palestina” e al “Collettivo Universitario Autonomo”) che in un comunicato in cui si esprime solidarietà al gruppo di “studenti pacifici” dichiara: “La presenza di un contradditorio [sic!], ci pare, non rappresenta prerequisito necessario per un dibattito per altro non di carattere puramente informativo ma politico e programmatico”. Di “campagna pacifica” riferendosi al boicottaggio del Technion, ha invece parlato il professor Angelo D'Orsi, firma di Micromega e grande firmatario di appelli contro Israele.
A difesa della collaborazione fra le università torinesi e il Technion, il secondo ateneo israeliano e tra i primi al mondo nella ricerca tecnologia, sono intervenuti alcuni docenti. Tra questi Daniela Santus, docente di Geografia culturale, che ha provocatoriamente chiesto che cosa sarebbe accaduto se un gruppo di studenti e docenti avesse chiesto un'aula per propagandare il boicottaggio delle istituzioni palestinesi. Alla difesa dell’iniziativa si è unito invece Peppino Ortoleva, esperto di comunicazione, che in una lettera a Repubblica ha sottolineato la sua linea critica nei confronti del governo di Gerusalemme ma ha dichiarato il suo “totale disaccordo” con i colleghi e con una campagna che colpisce il sistema accademico israeliano, quello che, nota Ortoleva, tiene in vita l'opposizione interna e democratica al governo Netanyahu: “Boicottare un ateneo significa dunque opporsi anche alle persone che possono lottare affinché Israele cambi le proprie politiche”. Ortoleva chiede perché non troncare allora i rapporti con gli atenei della Russia di Putin, della Turchia di Erdogan e della Cina. Stessa linea del professor Volli che sottolinea l'ipocrisia di un ristretto manipolo di “non studenti antisemiti” che non rappresenta che una piccolissima minoranza del totale e che vede solo le università israeliane collaborare con le forze armate. Una minoranza “ignorante”, secondo la professoressa Santus, coautrice assieme all'imam Yahya Pallavicini di un libro sull’apertura al confronto tra religioni. Al Foglio, Santus racconta dei volantini affissi sulla porta del suo studio con su scritto “Santus zion” e molto altro. La professoressa mostra anche alcuni esempi dell'ignoranza degli studenti. Uno su tutti è la risposta alla domanda d'esame scritto che chiedeva di indicare sulla cartina il principale stato sciita. Risposta “Gaza” con crocetta piazzata su Cipro. “Il BDS è un movimento assolutamente minoritario nella nostra università ma che ha vita facile nei mari d'ignoranza. Per fortuna è, come detto, una ristretta minoranza”.
[**Video_box_2**]Se il problema non è Israele ma piuttosto la lotta democratica, antifascista, pacifica e pacifista contro i signori della guerra – come fu per l'aggressione e la contestazione subite dal professor Panebianco a Bologna – bisognerebbe capire la mancanza di critiche contro lo stesso ateneo torinese per i suoi rapporti con università cinesi, come la Zhejiang University, amministrata dal ministero della Cultura e con la quale Via Po ha attivo un programma di doppia laurea. “È del tutto ovvio che l'università abbia rapporti con i principali istituti al mondo”, afferma Volli. E guardando l'offerta di studi dell'Università di Torino salta all'occhio l'attuazione di quel “sacro dovere del cittadino” che è la difesa della patria, sancito dall'articolo 52 della nostra Costituzione: l'ateneo, infatti, organizza il corso di laurea in Scienze strategiche destinato alla formazione del personale civile e militare (quest'ultimo in collaborazione con l'Accademia militare di Modena). E anche il Politecnico di Torino partecipa alla difesa italiana con il recente rinnovo della collaborazione tra l'ateneo, che già prevede il corso di laurea in Ingegneria aerospaziale, e Thales Alenia Space Italia, una società del gruppo Thales e Finmeccanica.