Cuori in mostra
A volte viene la tentazione di bruciare tutto. Finisce una storia d’amore e non si vuole vedere mai più quella coperta rossa, perché lei ci si sdraiava sempre sotto a leggere, sul divano, e guardarla adesso è insopportabile. E gli orecchini che le avevi regalato perché li desiderava tanto, ma adesso li ha dimenticati dentro un posacenere, uno è anche rotto. Il quadro orribile che avete comprato insieme a Parigi, nella spartizione degli oggetti nessuno l’ha reclamato per sé. Eppure sta lì appeso e parla, parla, non tace mai quel mostro. Portati via quello schifo di lampada di tua madre, sennò la butto dalla finestra. Oppure, d’ora in poi, regalo tutto al Museo delle relazioni spezzate, insieme alla lettera d’amore non mia che ho trovato nella tasca della giacca, e al grembiule di gomma con le tette che indossavi in bagno di nascosto, e racconto al mondo chi sei. Anche chi siamo stati.
A Los Angeles sta per aprire il Museum of Broken Relationship, un progetto mondiale (cominciato a Zagabria, e proseguito come mostra itinerante in tutto il mondo) che raccoglie ed espone i cocci delle storie d’amore, le prove di qualcosa che esisteva e non esiste più, con la spiegazione scritta del significato emotivo di quel bouquet di fiori di carta di giornale, e del cassetto di legno pieno di musicassette, quelle che ascoltavate durante i viaggi in automobile, cantando, con la sua calligrafia dappertutto, e i cuoricini fatti con la biro. L’idea di questo museo degli addii ricorda il museo dell’Innocenza di Orhan Pamuk, a Istanbul, nato da un romanzo e da una definitiva, segreta verità: “A quanto pare non è possibile conoscere il segreto degli oggetti senza avere avuto il cuore spezzato”. Un cappello è un cappello è un cappello, ma se quel cappello è stato abbandonato sgualcito sul tavolo, l’ultima sera (uno dei due di solito non sa che è l’ultima), porta con sé ancora molte cose, meglio lasciargliele raccontare. “Alcune relazioni finiscono – con gli amanti, con i propri cari, con i sogni e con le città. Se vuoi alleggerire il carico emotivo e cancellare tutto ciò che ti ricorda quella dolorosa esperienza buttando via tutto, non farlo. Dallo a noi”. Per rabbia, vendetta, narcisismo, fastidio, tristezza, ecologia, o anche per l’euforia di fare spazio a qualcosa di nuovo.
[**Video_box_2**]Si accettano spazzolini da denti e dentifrici schiacciati nel mezzo, scarpe consumate con cui abbiamo sceso, dandoci il braccio, almeno un milione di scale. Eppure è finita lo stesso. Ma i musei nascono per celebrare, per ricordare, mai per dimenticare (i due creatori del museo di Zagabria hanno avuto quest’idea dopo essersi lasciati). Quindi è meglio essere sinceri: se pensiamo di spedire a un museo, anche lontano e un po’ assurdo, il portachiavi a forma di ippopotamo che lui ci aveva portato un giorno da Londra, non è per cancellarlo dalla memoria, e non è per odio verso l’ippopotamo. E’ per sapere che da qualche parte c’è un ippopotamo blu che racconta di noi.