Il dandy rivoluzionario
L’atteggiamento “alla Oxford”… saper giocare graziosamente con le idee (O. Wilde)
Io sono, quindi noi ci rivoltiamo (A. Camus)
Vorresti che i tuoi maestri si ammirassero tra loro, ma quella sintesi, spesso appena abbozzata e contradditoria, sei tu. Quanti contrasti, quante avversioni che trovano soluzione solo in chi, paradossalmente, ama entrambe le parti in causa, magari a secoli di distanza. Pensiamo a Platone che, secondo Aristosseno, voleva bruciare Democrito, a Nietzsche che considerava Dante “una iena che fa poesia sulle tombe”, a Tolstoj che scagliava strali su Shakespeare. Oppure prendiamo questo passo, dallo scrittore anti totalitario per eccellenza: “Quando si pensa alla crudeltà, allo squallore e alla futilità della guerra – e in questo caso agli intrighi, alle persecuzioni, alle menzogne e alle incomprensioni – si avverte sempre la tentazione di dire: ‘Uno vale l'altro ed io resto neutrale’. Ma in pratica non si può restare neutrali e non esiste una guerra, dove non abbia importanza la parte che vince. Quasi sempre una parte sta, più o meno, per il progresso, l’altra, più o meno, per la reazione”. E poi questo, del più squisito e feroce tra gli snob: “L’ombra era particolarmente gradevole nella calda giornata estiva. Su un rialzo devastato dalla capre, nascosti dentro una macchia di olmi, mangiammo le fragole, innaffiandole col vino… accendemmo delle grosse sigarette turche, coricandoci sul dorso, gli occhi di Sebastiano fissi sulla folta verzura sovrastante, i miei che stavano osservando il volto di lui mentre il fumo azzurrognolo s’innalzava indisturbato, per l’assenza di ogni alito di vento, incontro all’ombra verde delle foglie, e il dolce aroma del tabacco si confondeva agli aromi estivi, mentre gli inebrianti fumi del vino dorato sembravano farci librare sospesi a un palmo dal terreno erboso. ‘Il posto adatto a sotterrare una ciotola d’oro’, disse Sebastiano. ‘Desidererei sotterrare qualche oggetto prezioso in tutti i posti dove sono stato felice. Da vecchio, ormai povero e cadente, ritornerei a scavarlo e ricorderei il bel tempo andato’”. Eppure, è proprio con questi due sguardi, questi due mondi negli occhi e nel cuore, quelli di George Orwell ed Evelyn Waugh, che Christopher Hitchens andò a studiare a Oxford. Unendosi ai Socialisti Internazionali. “Dopotutto, per essere semplicemente un individuo degli anni ‘Sessanta’, bastava essere nati nell’anno giusto ed essere disponibili a quella che una volta sentii chiamare ‘la solidarietà più disprezzabile di tutte: quella generazionale’”. Il capolavoro dandy-cattolico di Waugh, “Ritorno a Brideshead”, si apre con l’antico memento pittorico Et in Arcadia ego. La Storia – e sua sorella la Morte – non risparmiano neppure l’idillio edenico dei pastori-poeti. La Oxford della contestazione ne sarebbe stata la prova. “Le autorità accademiche una volta presero seriamente in considerazione l’idea di far ricoprire i ciottoli delle vecchie strade di Oxford, per timore che venissero estratti dal suolo e usati come proiettili com’era capitato a Parigi”. Anche quel paradiso del sapere aveva conosciuto crisi profonde ma stavolta, a bussare ai cancelli dei college avvolti dalla bruma, era un totale ribaltamento della vita culturale e studentesca. “E’ banale dire che ogni generazione si ribella, e avevo già avuto modo di stuccarmi con l’immagine del ‘ribelle senza causa’ degli ultimi anni Cinquanta. Ma accadde che noi, i cosiddetti figli del boom demografico o almeno la sua porzione sessantottina, fossimo ribelli con una causa… Se non avete mai fatto personalmente l’esperienza di sentirvi tutt’uno con la grande locomotiva della storia, be’, consentitemi di informarvi che la convinzione è qualcosa di veramente esaltante”. Si poteva scrivere a Mandela in prigione, e proclamarlo vicepresidente onorario del proprio circolo – “Decenni dopo, quando lo incontrai nella residenza dell’ambasciatore britannico a Washington, alquanto assurdamente gli chiesi se avesse mai ricevuto la lettera. Con quel suo sorriso capace di illuminare un intero ambiente, mi rispose che in effetti l’aveva ricevuta, e di ricordare come la cosa gli avesse rallegrato la giornata.
A dire il vero, non credetti a questa incantevole finzione, ma per un po’ restai ammutolito”. E le delusioni erano ben peggiori degli scontri fisici e degli arresti, se si era sprovvisti d’ironia: “Ricordo una dimostrazione, diligentemente preparata da un massiccio volantinaggio ai cancelli delle fabbriche, alla quale non si presentò assolutamente nessun operaio. Il mio amico teorico David Rosenberg, davanti a un simile sconfortante risultato, mi disse: ‘La cosa conferma anzi la nostra analisi che i burocrati sindacali non riescono più a mobilitare la loro base’. Abbastanza vero fin qui: ma è anche vero che coloro che battono la testa contro il muro della storia hanno bisogno di equipaggiarsi con un qualche casco di protezione teorica. Mi ci volle un po’ di tempo prima che mi togliessi il mio”. E non solo il casco. “Fenton giura che mi ero addirittura messo il basco per guidare una manifestazione: è del tutto incapace di mentire, ma sono sicuro di averlo fatto al massimo una volta”. I nomi degli amici potevano causare equivoci molto spiacevoli. Molto: “Avevo scritto ‘chiamare Ira’ su un blocchetto a fianco del telefono in una casa che allora condividevo con altri, e quando venne la polizia per una questione riguardante un corteo di protesta, ci volle del bello e del buono per persuaderla che non si trattava di un pericoloso appuntamento col repubblicanesimo irlandese”. Come se mancassero motivi e occasioni per finire in gattabuia: “Quando fu lasciata cadere un’imputazione contro di me per ‘incitamento ai disordini’ ci rimasi un po’ male perché l’avevo considerata un indiretto omaggio alla mia abilità di oratore […]. In tribunale, non riuscii a divertire il magistrato allorché mi lamentai del comportamento brutale dell’agente di polizia che mi aveva arrestato e fornii il numero che portava sull’uniforme. ‘Come può essere sicuro del numero?’ obiettò l’uomo sul banco del giudice. ‘Semplicemente perché, Vostro Onore – replicai sarcasticamente – la cifra 1389 corrisponde alla data della grande rivolta contadina’. La pesante multa che ne risultò rifletteva l’opinione della corte sul mio ostentato disprezzo, come sul mio rifiuto della Bibbia al momento del giuramento. Quando fui dichiarato colpevole, i miei compagni e io, che sedevamo al banco degli imputati, ci alzammo in piedi e intonammo l’Internazionale, con i pugni alzati nella convenzionale forma di sfida. Non avevo i soldi per pagare la multa, ma mi era stato detto che John Lennon avrebbe sborsato i quattrini per tutti”. Molti hanno raccontato quel misterioso incantesimo di febbrile primavera – “sembrava non ci fossero abbastanza ore nel giorno, o giorni nella settimana per prendere parte ai diversi movimenti di solidarietà” – ma, ancora una volta in cortocircuito con l’elegia malinconica di Waugh, Hitchens avrebbe poi ammesso che, a ben guardare, era più il bagliore d’un tramonto che un’alba ad accendere i loro volti: “All’improvviso sembrò che potesse davvero rivivere la tradizione rivoluzionaria europea. Come potevo sapere che stavo assistendo alla fine di una tradizione anziché alla sua resurrezione?”. Fondamentale, sotto la spuma agitata delle manifestazioni, si sarebbe rivelato il fondo silenzioso delle letture costanti, così come “il costume profilattico che avevo ormai acquisito di non attenermi a un’unica serie di libri”. Questi gli permisero di gettare le “basi per penetrare nella storia alternativa del XX secolo. Sì, era vero che l’Unione Sovietica e i suoi satelliti erano un impero tirannico (anzi, un sistema ‘capitalistico di stato’, secondo i teorici dei socialisti internazionali), ma sapevo cos’aveva scritto Rosa Luxemburg a Lenin, mettendolo in guardia dalla tirannia sopravveniente, nel 1918? Sapevo dell’epica lotta di Lev Trotsky per mettere in piedi un’opposizione internazionale a Stalin? Ero al corrente che in forme mutate e isolate, questa lotta grandiosa stava ancora andando avanti? Non ne sapevo nulla, ma ne fui affascinato e volli apprenderne e leggerne sempre di più”. Come ogni religione, essere comunisti investiva tutta la vita, vestiario e svaghi compresi: “Non potevamo farci crescere troppo i capelli, perché volevamo mescolarci con gli operai ai cancelli delle fabbriche e nei quartieri popolari. Non ‘ci facevamo’ di droghe, che consideravamo una via di fuga patetica per deboli di mente, quasi altrettanto disprezzabile della religione (e anche una cattiva abitudine che poteva esporci agli ‘infiltrati’ della polizia). Il rock’ n’roll e il sesso erano ok”. E i contrasti più intensi, lo sapeva già san Paolo, sono sempre con i correligionari: ai cortei e ai presidi seguivano “fino a notte inoltrata, accalorate discussioni con i comunisti, i socialdemocratici e gruppi rivali di trotzkisti. Queste ultime battaglie erano le più aspre e faticose, e spesso concernevano questioni che sarebbero sembrate ridicolmente astruse a un osservatore esterno (se il sistema sovietico fosse uno stato operaio ‘deformato’ o ‘degenerato’, per esempio, in opposizione alla nostra accusa di essere uno ‘stato capitalistico’).
Comunque un addestramento alla capziosità e alla microesegesi in stile talmudico può tornare utile nella vita, come l’addestramento a parlare col megafono sopra una cassetta di latte rovesciata davanti a una fabbrica, e poi infilarsi in tutta fretta lo smoking per recarsi ai dibattiti della Oxford Union dove ci si muoveva secondo le regole del parlamento. E già in questo salto sonoro dal frastuono al fruscio è possibile notare la presenza, nel giovane rivoluzionario, di tutto un altro mondo. “Uso la parola ‘doppia vita’ senza vergogna. A dire il vero, speravo di forgiarmi come persona seria e come alleato della classe operaia e mi stavo preparando in vista di questo obiettivo. Ma volevo anche vedere un po’ di vita e di gente e liberarmi della corazza da collegiale sessualmente inibito”. Non c’erano solo le proteste davanti alle parrucchiere razziste, ma anche “la Oxford di Evelyn Waugh e Oscar Wilde e Max Beerbohm e delle barche spinte dalle pertiche e delle fragole e delle seducenti fanciulle”. Mai la trita espressione “andare a letto col nemico” ebbe valore più letterale, visti i rapporti che Hitchens seppe comunque mantenere con i colti aristocratici della destra oxoniense, con il loro amore per il vino, la conversazione brillante e “le parole dell’inno di Mussolini, Giovinezza. Si dà il caso che ‘gaiamente’ sia qui l’espressione adatta, perché tra questi giovanotti c’era un modo di fare molto camp e una certa bisessualità attiva. Arrossisco un po’ a dirlo, ma a quei tempi ero ancora apprezzato per il mio aspetto e, sulla base dell’esperienza fatta nel mio collegio molto meno chic, ero in grado di leggere i segni e conoscevo le procedure. Di tanto in tanto, sebbene fossi ormai orientato verso la ricerca delle ragazze, ci fu qualche lieve, e lievemente piacevole, ricaduta, e penso di poterla ‘dichiarare’, se è la parola giusta, rispetto a due giovani che poi fecero parte del governo di Margaret Thatcher”. Ops.
Come nei grandi amori, anche gli odi più feroci tendono a scovare nel passato i primi segni, le vetera vestigia flammae. E il futuro segugio lanciato sulle tracce della volpe chiamata Bill Clinton l’aveva già incontrato all’università. Fiutandola quanto basta per disprezzarla: “Proprio riguardo a quel periodo, tempo dopo, il bugiardo abituale e professionale Clinton giurerà di non aver mai ‘aspirato’. Su questo non c’è nessun mistero, come non ce n’è mai stato su altre sue successive falsificazioni. E’ sempre stato allergico a fumare e preferiva, come molti altri entusiasti della marijuana, prendere la sua roba sotto forma di cookies e di brownies”. Già Shakespeare aveva notato che talvolta ci troviamo gettati assieme a strani compagni di letto: “Io e lui fummo tangenzialmente coinvolti (in momenti diversi, mi affretto ad aggiungere) in un’altra faccenda di doppio gioco, con un paio di ragazze di Leckford Road le quali, prevalentemente lesbiche nei loro interessi, organizzavano giochi erotici di gruppo. Gli uomini i quali si lusingavano di essere l’oggetto del desiderio avrebbero scoperto più tardi di essere semplicemente un’esca che veniva esibita per riuscire ad attirare piú donne nella trappola. Ho sempre pensato che si trattasse di uno stratagemma abile e contorto e vorrei averne capito meglio le dinamiche allora. Ma questo è più o meno come nel resto della vita, dove, come osserva con tanta perspicacia Kierkegaard, si è condannati prima a vivere rivolti in avanti e poi a riflettere rivolti all’indietro. In altre parole, se andate a letto con futuri ministri della Thatcher e flirtate con la ragazza lesbica di un futuro presidente, non sarete in grado di assaporare pienamente la cosa mentre avviene e dovrete accontentarvi di ripensarci in un momento di maggior tranquillità”.
C’è sempre un topo, in ogni ragionamento ideologico, ammoniva Giorgio Caproni. Non importa quanto il discorso fili o sfavilli. Basta fare un po’ di silenzio per sentirlo rosicchiare: “Cominciate a individuare un ingrediente importante nella vostra formazione: avvicinatevi quanto più potete ai supposti maestri e detentori del potere e guardate di che stoffa sono realmente fatti. Se ho visto famosi studiosi e professori impappinarsi qua e là, nel mio ruolo di speaker della Oxford Union ho avuto modo di conoscere da vicino ministri e parlamentari di lungo corso, e pranzare con loro prima e bere con loro dopo, per restare tutte le volte stupito di quanto fosse ignorante e talora anche completamente stupida la gente che pretendeva di governare il paese. Questa è stata una tappa fondamentale della mia formazione e per essa sono enormemente riconoscente, benché tema che ciò mi abbia reso più insopportabilmente presuntuoso e sicuro di me di quanto meritassi”. Col tempo, questa critica costante, questo autoesame, avrebbe rivolto il bisturi molto più vicino, alla propria stessa carne “intellettuale”, alle proprie convinzioni. Hitchens intitolò significativamente questo capitolo della sua autobiografia “Il rigetto di Bridheshead”. Sarebbe occorso più tempo per rigettare anche molto del socialismo, ma le avvisaglie c’erano già. “Quando gli fu chiesto quale fosse il suo epigramma favorito, Karl Marx propose: de omnibus disputandum (tutto deve essere messo in dubbio). E’ un vero peccato che tanti suoi seguaci abbiano dimenticato il succo di questo detto”. Hitchens l’avrebbe fatto, continuando ad avvertire per anni la mancanza di quell’arto fantasma, come sanno tutti gli apostati che siano stati fedeli sinceri di un grande orizzonte esistenziale, che avvertano come certe parole-chiave non siano soltanto schemi con cui imbrigliare il mondo, ma si portino dietro infinite serate a discutere con gli amici. Infiniti eventi grandi e piccoli. Sogni, emozioni e speranze.
Ma il bello della religione è che essa suscita eretici, come diceva Ernst Bloch. E anche recarsi laddove, come aveva amaramente scoperto il suo maestro Orwell, tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri, avrebbe aiutato Hitchens a capire che era venuto il momento di amputare il braccio.