Cos'è un romanzo spiegato ai concorrenti del premio Strega
Per fortuna c’è sempre in giro qualcuno che si chiede “che cos’è un romanzo”. Per Cercas nasce sempre da domande semplici e quasi infantili, che di solito, però, preludono a scoperte fondamentali. Motivi per leggere “Il punto cieco”.
I beati produttori di romanzi da premio Strega non vogliono sentire storie, ma non c’è niente da fare, devono rassegnarsi: c’è sempre in giro qualcuno che si chiede “che cos’è un romanzo”.
Se lo chiede ora un intelligente e colto scrittore spagnolo poco più che cinquantenne, Javier Cercas, sempre più apprezzato in questi ultimi anni soprattutto per due romanzi (diciamo pure così), “Anatomia di un istante” e “L’impostore”. Cercas è un uomo di rovelli intellettuali, morali e politici, rovelli che non risparmia neppure a se stesso chiedendosi “chi sono io?” e “che cosa faccio?”. La sua raccolta di scritti sul romanzo “Il punto cieco”, pubblicata da Guanda (pp. 159, euro 17), prende avvio proprio dai dubbi e dalle certezze dell’autore su se stesso. Il suo “Anatomia di un istante” non venne letto come un romanzo e lui per primo chiese all’editore di non etichettarlo come tale “pur sapendo o sentendo che era un romanzo”. In effetti che cos’era mai quel libro? Sembrava un libro di storia, un saggio, una cronaca, un reportage, “un vortice di biografie parallele e contrapposte che girano intorno a un crocevia della storia”.
L’istante anatomizzato apparteneva al 23 febbraio 1981, “sei anni dopo la morte del generale Franco, quando un gruppo di guardie civili entrò sparando nell’affollato parlamento spagnolo con l’intenzione di farla finita con la democrazia, instaurata soltanto quattro anni prima, e solo tre dei parlamentari si rifiutarono di obbedire ai loro ordini: uno dei tre era Adolfo Suárez, ex segretario del partito unico franchista, primo presidente del governo democratico e principale architetto della transizione dalla dittatura alla democrazia; un altro era Manuel Gutiérrez Mellado, vicepresidente del governo ed ex generale franchista riconvertito in leader dell’esercito democratico; l’ultimo era Santiago Carrillo, segretario generale del partito comunista, leader dell’antifranchismo durante la dittatura e, insieme a Suárez, co-architetto della transizione”.
Lo scrittore spagnolo Javier Cercas
Secondo Cercas il romanzo nasce sempre da domande semplici e quasi infantili, che di solito, però, preludono a scoperte fondamentali. Ecco dunque la domanda che costrinse Cercas a scrivere il suo libro: “perché proprio loro tre?; perché coloro che quel pomeriggio misero in gioco la propria vita per la democrazia furono proprio quei tre uomini che l’avevano disprezzata per quasi tutta la vita?”.
A me (oltre che evidentemente a Cercas) sembra che questa sia una buona domanda da cui può nascere un buon romanzo. Così in effetti è stato. Romanzo che è anche cronaca, storia, biografia, saggio morale, giornalismo eccetera. All’altra domanda non meno semplice e quasi infantile “che cos’è esattamente un romanzo?” la risposta può essere ricavata se si pensa al capolavoro di Cervantes, primo romanzo moderno, la cui regola fondamentale è nel suo carattere ibrido e misto, dove tutti gli altri generi, in forma meno nobile, più quotidiana e contingente. possono mescolarsi liberamente. Con il romanzo, genere inclusivo, le forme classiche perdono la loro rigidità, la loro purezza, il loro status distintivo e discriminante. Il romanzo annuncia così la democrazia. Scrittura mista che prevede un pubblico misto. E mista in effetti è sia la figura di don Chisciotte, che sente di essere, senza esserlo, un eroico cavaliere antico, sia la coppia don Chisciotte e Sancio, in cui si mescolano l’idealismo sublimante dell’uno e il realismo “terra terra” dell’altro.
Nel secolo del suo trionfo, l’Ottocento, la forma del romanzo si è a tal punto fortificata da perdere la sua malleabilità, le sue oscillazioni fra “narrazione e digressione”. Solo più tardi, con Proust, Musil, Mann (e direi Svevo), e soprattutto nella postmodernità, il romanzo è tornato a essere ciò che era stato da Cervantes a Sterne a Diderot. E’ quello che avviene con Milan Kundera, Truman Capote e il New Journalism di Tom Wolfe.
A questo punto mi pare che Cercas semplifichi il corso dei suoi pensieri, includendo nella sua idea di romanzo autori che appartengono più al racconto autoriflesso come Borges e Calvino: né l’uno né l’altro, mi sembra, sono molto inclusivi, la loro ammirata perfezione stilistica tende piuttosto a escludere, a depurare, in vista di una certa eleganza e perfezione formale più inappetente che onnivora. Quando evita con troppa cura di “cadere” nel giornalismo, la narrativa perde corpo e peso, dimagrisce, diventa liricizzante o allegorica o metafisica: tutte cose che a Cervantes non interessavano (e neppure a Defoe, Sterne, Diderot).
Infine (e pro domo mea) mi chiedo: tutto questo non vale anche per la forma saggistica, quando diventa, per esempio, giornalisticamente riflessiva e narrativa? Anche Montaigne, che precede di poco Cervantes, spodestò bruscamente la filosofia dal suo alto trono portandola in cucina, in camera da letto, in strada.
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