Impariamo dai bambini, carnivori per natura
Ma come? I bambini non avevano sempre ragione? Jean-Jacques Rousseau e Maria Montessori non vi avevano insegnato a rispettare, ad assecondare la personalità dei piccini, la spontaneità infantile, i desideri sorgivi? Ebbene rassegnatevi: i bambini sono carnivori.
Lo ha capito perfino il Comune di Bologna che, constatato l’imperterrito successo della pasta al ragù e il fallimento delle pepite al miglio, ha dovuto piegarsi ai voleri dei cittadini di statura momentaneamente ridotta e modificare il menù delle mense scolastiche. Frega niente ai bambini delle problematiche relative agli allevamenti intensivi, ai macelli, al benessere animale: loro vogliono la ciccia, le proteine necessarie al giovane corpo che cresce. Appunto perché i bambini sono naturali, impermeabili alla propaganda animalista che li corromperà quando saranno più grandi e più sensibili al porcello che soffre, all’agnello che bela, al vitello che fa tenerezza. Ancora non comprendono le convenienze sociali, i piaceri gregari indotti dalle televisioni e da internet, e viceversa ancora sono capaci di ascoltare sé stessi, la loro pancia anzi il loro pancino: e vogliono il ragù. Come me che sono grandicello ma per sempre bambino dentro e mi viene l’acquolina in bocca pensando al ragù del Caminetto d’Oro, col fegato che lo rende dolce, oppure a quello dell’Osteria Bottega, che quando Daniele Minarelli facondo me lo illustra (sto parlando dell’oste numero uno di Bologna e d’Italia) mi commuovo e quasi piango. Che poi non è goduria esclusivamente bolognese, del ragù andava pazzo pure Eduardo De Filippo, fra l’altro uomo almeno apparentemente nato vecchio, inimmaginabile come bambino. Il gran teatrante si riferiva alla ricetta napoletana che prevedeva cotture interminabili e si parlava infatti di “ragù del portinaio” siccome solo un poco indaffarato portiere poteva accudirlo per intere mezze giornate fino al completo disfacimento della carne. Forse però i bambini preferiscono la ricetta bolognese che insieme al nutrimento proteico fornisce loro la soddisfazione della consistenza, il piacere tattile del macinato da masticare. Del resto, lo dicono i pediatri, il bambino comincia a conoscere il mondo proprio attraverso il tatto. E non c’è Michela Vittoria Brambilla, non c’è Giulia Innocenzi che possa convincerlo del contrario. Nessuna maestrina zelante è riuscito a persuaderlo della bontà delle pepite di miglio, nemmeno il nome impreziosente e truffaldino ce l’ha fatta: il pupo lo sa bene di non essere un canarino, le pepite di miglio mangiatevele voi se tanto vi piacciono, assieme al tofu veg, al cavolo bio, al fagiolo equosolidale e alla zucchina sostenibile. Le verdure sono utili ai vecchi stitici, ai bambini serve la polpa. Il Comune democratico ha dovuto obtorto collo ammettere che ai piccoli bolognesi oltre al ragù piacciono i polli, gli hamburger e i sughi a base di pesce (ma senza l’ipocrisia dei pescetariani perché bisogna diventare grandi e diventare scemi per credere che i tonni crescano negli orti, che non siano composti di carne). Proveranno ancora a indottrinarli (“Per i contorni di verdure dobbiamo continuare a impegnarci a trovare modalità efficaci per aumentarne il consumo” dice un comunicato) ma falliranno ancora perché la cultura può parzialmente sostituire la natura solo a partire da una certa età. I bambini più sono piccoli e più sono vetero-testamentari, non hanno bisogno di imparare a leggere per essere convinti di quanto afferma Genesi 9,3: “Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo”. I bambini sono realisti, i bambini ci salveranno.