“L'assedio di Bruxelles”. Il romanzo che anticipò la guerra tra islam, fiamminghi ed euroburocrati
"Quando vogliamo distruggere una città, ordiniamo il bene ai suoi ricchi, ma presto trasgrediscono. Si realizza allora il Decreto e la distruggiamo completamente”. E’ con questa sura del Corano che, nel 1996, l’ingegnere belga Jacques Neirynck aprì il suo romanzo intitolato “L’assedio di Bruxelles”. Un racconto distopico, ambientato nel 2007, con la capitale del Belgio che veniva definita, nel preambolo immaginifico, “una parabola dell’Europa: Babele e Sarajevo allo stesso tempo, il luogo di tutti i dialoghi possibili e di tutti i mutismi eventuali, un’énclave dove si parla ogni sorta di lingua”. Si dice spesso che la fantasia supera la realtà, ma nelle ultime ore la realtà sembra aver ridotto praticamente del tutto le distanze che la separavano da quella lugubre fantasia del professore oggi al Politecnico di Losanna. Quest’ultimo descrive un continente ridotto in ginocchio dal debito pubblico, una disoccupazione a livelli di guardia, un federalismo spappolato fino a lambire le soglie dell’anarchia, una città che si tiene in piedi a malapena per offrire ospitalità alle istituzioni dell’Unione europea, il tutto appollaiato sopra il fuoco lento dei conflitti linguistici e religiosi. E’ in questo contesto che Erwin Boze, leader nazionalista fiammingo, pensa a una “soluzione radicale”: dichiarare la fine dello stato belga e della sua monarchia, per riunire tutti i popoli di lingua neerlandése. E’ l’unico modo, sostiene Boze, per riscattare gli abitanti di Bruxelles, divenuti sempre più poveri, specie dopo “l’inaridimento delle fonti favolose” dell’Arabia Saudita e la fioritura asfissiante delle burocrazie governative.
Il punto d’osservazione è quello di Charles Vandewalle, architetto di professione e poeta a tempo perso, trascinato a malavoglia nel tentativo di golpe dell’amico Boze. Ma più del suo rocambolesco tentativo di boicottare l’uomo forte dei fiamminghi, oggi risalta la descrizione della guerra civile che si scatena in città. L’autore ne traccia gli sviluppi su una mappa. Da una parte il quartier generale dell’Unione europea e i burocrati che lo abitano che nemmeno riescono a trovare una posizione coesa di condanna delle violenze urbane. A nord i fiamminghi che, organizzati in una Milizia, conquistano territori e impongono ai francofoni di non esprimersi più nella loro lingua. In mezzo, la comunità islamica, prima sparpagliata tra Schaerbeek e Saint-Gilles, poi spinta progressivamente a raggrupparsi nel “ghetto” di Molenbeek. Il quartiere dal quale, fuor di finzione, da settimane si irradiano decine di terroristi made in Europe. Lo stesso quartiere che venerdì scorso ha accolto con un lancio d’oggetti la polizia belga che arrestava Salah Abdeslam, uno degli autori della strage del Bataclan a Parigi. Nel romanzo di Neirynck, decine di migliaia di cittadini originari del Maghreb e della Turchia hanno già trasformato “le chiese vuote in moschee”, rispondono alla violenza con la violenza, aggrediscono le forze dell’ordine del nuovo stato indipendentista fiammingo. Il moderato Rachid, amico di Vandewalle, davanti a una birra ammette: “Tu e io ci capiamo. Ci capiamo in ogni circostanza. Ma la religione diventa fonte di controversie per il cittadino comune. I cristiani e i musulmani non hanno smesso, né smetteranno mai, di affrontarsi”.
Continua a parlare Rachid, islamico moderato a colloquio con l’amico Vandewalle: “Cristiani e musulmani non smetteranno mai d’affrontarsi. In Libano, in Afghanistan, in Bosnia, in Algeria. Era nelle cose che prima o poi questo conflitto si riproducesse nel cuore dell’Europa. L’islam è fatto in maniera tale che può essere tollerante nei confronti delle comunità ebraiche e cristiane fino a quando queste ultime sono delle minoranze. Ma l’islam non ha mai vissuto esso stesso in condizione di minoranza, come invece accade da quasi un secolo in Europa”. Da fede di alcuni immigrati per ragioni economiche – ragiona con distacco Rachid – si è trasformata in collante “nel tentativo di tornare a costruire la comunità originaria, la Umma”. E “ciò che rende la situazione attuale così esplosiva è paradossalmente il fatto che tutti questi fuggitivi hanno ora un passaporto belga, che siano di seconda o terza generazione rispetto ai lavoratori immigrati. Questi sono dei belgi musulmani”.
Il romanzo di Neirynck, nonostante tutto, è a lieto fine. Il fallito golpe fiammingo e la guerra civile rientrata, nelle intenzioni dell’autore naturalizzato poi svizzero e francese, dovevano servire da ammonimento per un processo di integrazione europea svuotato dei suoi valori originari. Ma in copertina, nell’ultima edizione pubblicata vent’anni fa, campeggia ancora un dettaglio inquietante del “Giardino delle delizie”, il trittico dipinto su tavola nel 1503 dal pittore fiammingo Hieronymus Bosch. Tra le tante scene bibliche, la scelta è caduta infatti sull’inferno e nello specifico su una vasta città in fiamme attaccata in più punti da orde di esseri non meglio precisati.
Bruxelles, 2016.