Il tradimento del gentil sesso europeo
Roma. “Il silenzio delle donne occidentali più impegnate equivale al tradimento di ogni singola ragazza e donna perseguitata in nome dell’islam. I progressisti, in particolare, accettano pratiche aberranti e datate contro le donne in nome della sensibilità culturale. E questa bizzarra alleanza fra progressisti e islam radicale è la dimostrazione della bancarotta morale di un’ampia parte della sinistra”. A parlare con il Foglio è Rita Panahi, fuggita nel 1984 dall’Iran quando la sua famiglia fu perseguitata dall’ayatollah Khomeini, oggi editorialista di punta del quotidiano australiano Herald Sun. Su quelle colonne, nel 2012, denunciò il caso dell’ospedale Royal Women’s di Melbourne che, in un solo anno e in una singola città, ospitò 600 donne in cerca di cura per i danni collaterali di una mutilazione genitale. Sempre allora criticò con veemenza la femminista australiana Germaine Greer che aveva paragonato la pratica dell’asportazione della clitoride e delle labbra vaginali praticata senza anestesia su delle bambine a un normale tatuaggio o a un piercing. “Anche nel mio paese d’adozione abbiamo alcuni apologeti che trattano gli immigrati, quelli di fede islamica in particolare, come fossero dei bambini: vittime marginalizzate alle quali si possono applicare standard diversi da quelli che valgono per il resto della popolazione”, scrisse. Oggi, contattata dal Foglio dopo la serie di attentati realizzata da adepti europei dello Stato islamico, aggiunge che sollevare il velo sulla condizione della donna islamica – oltre a essere intrinsecamente giusto – può avere conseguenze positive più generali: “Se insistiamo sul fatto che richiedenti asilo, immigrati di prima e seconda generazione adottino valori fondamentali come la libertà e l’eguaglianza, allora favoriremo l’emancipazione delle donne islamiche e daremo loro maggiori opportunità di influenzare le rispettive comunità, allontanandole dal radicalismo”.
La Panahi, pur vivendo agli antipodi, prima dello scorso 22 marzo si era già occupata di Molenbeek, il quartiere brussellese assurto adesso a simbolo di una società parallela che, in seno all’Europa, alimenta l’estremismo islamico. “Mi spiace ma non sono sorpresa. I buchi dell’intelligence? Piuttosto le élite belghe hanno chiuso tutti e due gli occhi di fronte al pericolo jihadista che cresceva alla luce del sole. Il potente sindaco socialista di Molenbeek ha preferito invitare tutti a festeggiare il Ramadan mentre accusava di ‘razzismo’ e ‘islamofobia’ chiunque denunciasse qualche problema”. Ecco di nuovo il “paternalismo” verso le minoranze islamiche che la Panahi ha denunciato a più riprese anche in Australia. Che spinge al paradosso, come ha scritto un’altra volta l’editorialista, per cui “una coppia omosessuale cui venga negata una torta nuziale in Colorado riceve maggiori compassione e sostegno a livello internazionale di quanto non avvenga invece per i gay gettati dalla cima di un palazzo in nome dell’islam in medio oriente”. D’altronde “i cosiddetti ‘progressisti’ sono più impegnati a bersagliare i conservatori locali che gli intolleranti di un’altra fede”.
Una volta la Panahi ha detto alla televisione pubblica Sbs: “Non sono il vostro conservatore di plastica. Ho origini etniche, sono un’immigrata, atea, mamma e single”. A dimostrare il suo basso tasso di ideologia, conclude: “Si potrebbe perfino capire chi giustifica l’approccio lassista à la belga se questo avesse un qualche risultato, in termini di maggiore armonia nelle nostre città. Ma una risposta così flaccida ha l’unico effetto di accrescere lo scontento. Il Belgio, con una popolazione di 11 milioni di abitanti, è il paese di origine di oltre 500 jihadisti che negli ultimi anni sono andati in Siria e in Iraq a ingrossare le fila dello Stato islamico. E’ il numero maggiore di foreign fighters pro capite nel mondo occidentale”.