Quando la musica classica è creata apposta per far dormire l'uditorio
Roma. La storia della musica moderna e contemporanea è disseminata di sperimentazioni. Si pensi ai 4’33” di John Cage e ai suoi pianoforti preparati, alle manipolazioni del suono proposte dalla musica acusmatica. E ancora alle composizioni al limite del surreale come il Quartetto per archi ed elicotteri di Karlheinz Stockhausen.
Ultimo in ordine di tempo a cimentarsi in questo universo è il compositore Max Richter, poliedrico musicista britannico, tra i più importanti esponenti del minimalismo musicale. Gli amanti delle categorie collocano Richter nella corrente del neoclassicismo. Per chi disdegna queste etichette, come il sottoscritto, Richter è un compositore originale, la cui musica val la pena essere conosciuta e approfondita. Anche quando si dorme. “Sleep” – questo il titolo dell’ultima creazione del compositore – è un brano di musica per pianoforte, voce, archi e sintetizzatori. Sin qui nulla di nuovo. Se non fosse per la durata. Una partitura di otto ore, creata per capire come la mente funzioni durante il sonno e come la musica e la coscienza possano connettersi in maniera inusuale. Lanciato in anteprima sulla rete in una “prima virtuale” il quattro settembre 2015, il brano è stato eseguito dal vivo qualche giorno fa a Berlino. Trecento posti a sedere. Pardon: trecento posti letto dislocati tra le alte volte della Kraftwerk, la vecchia centrale elettrica riconvertita in spazio artistico ed espositivo nel centro di Berlino e che dal 2013 ospita il festival annuale Berlin Atonal. Altri posti liberi per i sacchi a pelo. Appuntamento a mezzanotte in punto, poche parole e il viaggio ha inizio.
Una performance di "Sleep" di Max Richter, a Berlino, il 16 marzo.
Il compositore esordisce spiegando che “è una ninna nanna strumentale ed elettronica, ma non si tratta di musica ambient come quella delle spa. E’ anche una riflessione sull’accelerazione delle nostre vite. Un luogo di riposo, un punto su cui fermarsi”. “Ci si vede dall’altra parte”, dice Richter al pubblico. C’è chi dorme, chi si muove in piagiama tra le brande. Sicuramente, ascoltare musica durante il sonno non farà male anche se l’argomento non può essere ridotto in maniera troppo semplicistica, ritiene la dottoressa Federica Provini, del laboratorio di Polisonnografia dell’Istituto di scienze neurologiche di Bologna e segretario dell’Aims (Associazione italiana di medicina del sonno).
Chiacchierando con il Foglio, la dottoressa chiarisce subito che c’è bisogno di modelli sperimentali. “Quando vuoi misurare l’effetto e l’efficacia di qualcosa, devi avere degli strumenti di misura. Bisogna fare chiarezza su come lo desumi, quali saranno poi le modalità con cui vai a misurare quello che hai ottenuto”. Molti studi sul rapporto tra sonno e musica evidenziano che quest’ultima migliori vari aspetti del sonno: si riduce il tempo per addormentarsi, diminuiscono i risvegli notturni, aumentano le ore di sonno profondo. Continua la Provini: “Ascoltare la musica sicuramente fa bene, ma quali siano gli effetti sul cervello (per non parlare della mente) sono tutti da scoprire e verificare”. Altra questione aperta è la capacità di coscienza durante il sonno. “Non è possibile dire che nel sonno ci sia la coscienza intesa come nella veglia, se per coscienza intendiamo la capacità di integrare ed elaborare informazioni e rispondere a degli stimoli. Nel sonno c’è una coscienza. Ma dire che ci sia un apprendimento de novo e che ci siano delle aree cerebrali che possano seguire tale apprendimento, non è assolutamente dimostrato. L’argomento è molto interessante ma tutto da studiare”. Così, alle otto in punto il viaggio giunge al termine. Un minuto di silenzio e tanti calorosi applausi: per la partitura o per la qualità del sonno questo non lo sappiamo.