"Quel velo riduce la donna in schiavitù"
Per Pierre Bergé, ex compagno di YSL, hijab e burqa sono "un'abominevole dittatura". E per il ministro della Famiglia francese, Laurence Rossignoli, la condizione della donna islamica è simile a quella degli schiavi americani.
Pierre Bergé è stato l’amour fou, il compagno, il testimone della vita e del genio di Yves Saint Laurent. Hanno lavorato e vissuto insieme, dal 1958, quando si conobbero al funerale di Christian Dior, hanno creato un marchio mitologico e una collezione d’arte, hanno simboleggiato la libertà e la solidità di una relazione che non è finita nel 2008 con la morte di Yves, “l’uomo a cui ho chiuso gli occhi”, l’uomo con cui avevano scelto di vivere la maggior parte del tempo in Marocco, per la bellezza. Per la bellezza, e per la libertà occidentale di esprimerla e ammirarla, anche attraverso gli abiti e i corpi, Pierre Bergé, ottantacinquenne battagliero e senza alcuna considerazione per l’opportunità sociale delle sue opinioni, ha accusato gli stilisti che creano e vendono abbigliamento islamico e veli “di contruibuire alla riduzione delle donne in schiavitù”.
Yves Saint Lauren e Pierre Bergé
Dolce&Gabbana hanno lanciato una collezione di hijab di lusso, veli ricamati abbinati ad abiti alla caviglia, e le grandi catene di abbigliamento si sono affrettate a seguirli, a imitarli (H&M, marchio svedese ha utilizzato una donna musulmana velata nella sua campagna pubblicitaria, Uniqlo, giapponese, ha annunciato di voler iniziare a vendere hijab nei negozi di Londra, Marks&Spencer, inglese, ha messo in vendita questi spaventosi costumi da bagno che lasciano scoperti solo mani, piedi e l’ovale del viso: i burkini). “Sono scandalizzato – ha detto Bergé alla radio francese – gli stilisti non dovrebbero avere nulla a che fare con la moda islamica. Io che sono stato per quarant’anni al fianco di Yves Saint Laurent ho sempre creduto che gli stilisti fossero lì per rendere le donne più belle, per dare loro libertà, non certo per diventare complici di una dittatura che impone questa cosa abominevole di nascondere le donne e costringerle a vivere una vita nascosta”. Questa cosa abominevole è diventata una richiesta di mercato, stimata dal Guardian in circa 280 bilioni di dollari. “Tutto questo per fare soldi! – ha detto Pierre Bergé – Penso che le convinzioni debbano venire prima del denaro. Non è che, poiché le donne sono costrette dai loro mariti a vestirsi così, noi le dobbiamo incoraggiare. Dobbiamo incoraggiarle a spogliarsi e a liberarsi”.
Alcuni modelli della collezione D&G di hijab di lusso
Pierre Bergé, uomo d’affari che è stato grande amico di Francois Mitterand, e azionista del Monde con cui ama polemizzare, ha detto che non gli importa nulla delle chiacchiere sull’islamofobia: “Io vivo in Marocco, di solito dico quello che penso e penso quello che dico, e penso che non ci sono motivi per andare incontro a questa religione, verso queste usanze che sono incompatibili con la libertà che caratterizza le nostre usanze occidentali”. Gli stilisti che si arricchiscono con la mortificazione glamour del corpo femminile, con il nascondimento della bellezza, “dovrebbero farsi qualche domanda”. Secondo il ministro francese delle Famiglie, dell’Infanzia e dei Diritti delle donne, Laurence Rossignoli, questi veli alla moda sono paragonabili “alla schiavitù”. E le donne che li scelgono con entusiasmo? “Certo ci sono donne che li scelgono, c’erano anche dei negri americani che sceglievano la schiavitù”, ha risposto il ministro, suscitando scandalo e richieste di dimissioni per avere usato la parola “negri” e per avere parlato di schiavitù. Resta l’appello di Pierre Bergè agli stilisti: “Rinunciate al denaro, abbiate delle convinzioni”.