Che faccia hai?
Per ogni descrizione esiste un indescrivibile che resiste e non si lascia raccontare. Per ogni volto umano, viso di donna o di uomo, ragazzo o bambino, esistono parole mancanti e una moltitudine di dettagli, magari impercettibili, sfumature e differenze che lo rendono unico, e anche nella sua unicità in continuo movimento e mutazione. Come il volto di Kitty, in “Anna Karenina” di Lev Tolstoj, che si trasforma appena vede Lévin: “Arrossì, impallidì, arrossì di nuovo e restò sospesa, con le labbra che tremavano appena, aspettandolo”. Il mondo interiore di Kitty le cambia il volto, lo illumina, lo rabbuia, le labbra tremano, gli occhi scintillano, il sorriso è carico di speranza e di emozione, e allora come possono poche parole fermarlo per sempre, restituircelo nella sua complessità? Come si può davvero dire ciò che si vede, o ciò che si crea con la mente?
Così l’identikit dell’assassino descritto a parole non è mai sufficiente, perché è facile parlare in generale di qualcosa, le parole bastano, ma descrivere qualcuno in particolare, con le sue assolute singolarità, con la sorpresa che lo trasfigura, il movimento degli occhi, è una grande impresa narrativa. Che immagine avete in testa di Lolita, che faccia aveva? E Emma Bovary, sul cui viso sono scritte le passioni passate e quelle che verranno? (“Le sue palpebre parevano tagliate apposta per i lunghi sguardi amorosi in cui la pupilla si smarriva, mentre un profondo palpito dilatava le sue narici sottili e sollevava l’angolo carnoso delle labbra ambrate”). Charles la trovava assolutamente irresistibile, e ognuno di noi ne ha un’idea diversa, anche quando è sul letto in fin di vita, mentre gli occhi cominciano a scomparire. La semiologa Patrizia Magli, docente a Bologna e a Venezia, ha scritto un saggio affascinante sulla ricchezza del volto e sulla sua rivelazione attraverso le parole (“Il volto raccontato. Ritratto e autoritratto in letteratura”, Raffaello Cortina), che individua quell’angolo quasi indicibile eppure a volte evocabile attraverso le parole scritte: il non so che, il quasi nulla (è la definizione della bellezza del filosofo Vladimir Jankélévitch) che rende ogni volto, e quindi ogni personaggio, ogni protagonista o ogni don Abbondio di romanzo a cui ci appassioniamo, unico e costruito attraverso la forma delle frasi che in fondo non possono mai definire qualcuno, ma suggerirlo, e riuscire nella magia di evocarlo attraverso qualche tratto di penna. Dipingerlo con le parole.
Lolita, “un piccolo fantasma dal colorito naturale”, chiama lo sguardo interiore, ci permette di tradurre un non so che, un quasi nulla in volto, corpo, movimenti, seduzione. Se ci fosse tutto, se ci fosse anzi una fotografia di Lolita, un selfie che lei si è scattata in giardino, con gli occhiali da sole a forma di cuore, allora vedremmo i suoi dettagli e perderemmo di vista l’insieme, ci spazientiremmo, direbbe Diderot. Il linguaggio non può mai mostrare tutto, e proprio per questo lascia la libertà di percepire un mondo intero nella descrizione di un movimento del braccio. E’ una magia fatta con le parole.