Perché nei talent show non si può più votare? Il grillismo in tv non funziona
Roma. “Per oltre un decennio, questo show ha motivato milioni di giovani americani a votare, spesso e con entusiasmo. Dovremmo fare lo stesso nelle nostre vite, come cittadini di questo paese che amiamo. Il voto è il diritto più fondamentale e sacro della nostra democrazia. Credo che dovrebbe essere facile tanto quanto votare per American Idol”. La scorsa settimana il presidente americano Barack Obama è intervenuto con un videomessaggio nell’ultima, melodrammatica puntata di “American Idol”, il primo talent show per cantanti inventato nel 2002 da Simon Fuller, e lo ha fatto con un breve discorso – che sarebbe piaciuto molto a Casaleggio – sulle analogie del voto online e la democrazia diretta. In un lungo articolo sull’Atlantic di venerdì scorso, la freelance Tara Seetharam spiegava i motivi per cui “American Idol”, e di conseguenza tutti gli altri talent show ispirati a quel format, ha cambiato e “fatto evolvere la critica”. Per la Seetharam, il talent ha “ridotto la distanza tra i fan e i critici”, di fatto anticipando le conseguenze della diffusione di internet, e “ha portato a un’epoca in cui la critica è molto più democratica di quanto non fosse un decennio fa”. E come si esprime la democrazia? Col voto, naturalmente. Eppure, secondo qualche purista sospettoso verso la democrazia in diretta, è solo un’illusione: a decidere la rosa di candidati che il telespettatore premia nelle fasi finali sono sempre i giudici, e il loro insindacabile talento critico.
In Italia, dove i format televisivi di successo arrivano sempre con un po’ di ritardo, il televoto sta impercettibilmente evaporando dalle trasmissioni. Il posto del “quinto giudice”, orribile espressione dal significato vago, resta vuoto. Bastano e avanzano i giudici in carne e ossa. Lo dimostrano le due trasmissioni di punta del sabato sera nazional-popolare, “Ballando con le stelle” e “Amici di Maria de Filippi”, due format ai quali il pubblico non partecipa (più). E non è un caso se argomento di dibattito televisivo durante la scorsa settimana fossero le schermaglie tra Selvaggia Lucarelli (giudice) e Asia Argento (concorrente): una commenta il giudizio dell’altra, l’altra replica che il suo parere è insindacabile, e così avanti, come fossimo precipitati dal talent a “Un giorno in pretura”.
I primi esperimenti di grillismo applicato al format televisivo sono della metà degli anni Novanta. In Italia si iniziò con il Festival di Sanremo, dividendo la giuria in demoscopica e di qualità. Si votava con il telefono fisso, poi lentamente sostituito dagli sms con il cellulare, per finire con il voto online. La piazza di internet, allora, nella spaventosa idea di democrazia diretta si trasformò in giudice insindacabile, capace di scegliere con un dito un candidato premier – come nei sogni di Casaleggio e associati – e con l’altro il vincitore di “Tu sì que vales”. E’ proprio nei talent show che il processo di democratizzazione del format televisivo, specialmente quello italiano, ha avuto la sua massima espressione. Solo che a un certo punto arrivò Lele Mora, l’impresario dei vip, che nel 2009 a “Striscia la notizia” spiegò come si poteva truccare il televoto affittando i call center (all’epoca disse di aver investito un bel po’ di soldi per far vincere “L’Isola dei Famosi” a Walter Nudo). Il trucco sembrava svelato, ma non fu abbastanza per abolire la retorica della democrazia diretta e la sua deriva populista in tv (scriveva Carlo Freccero nel 2011 su Alternative per il socialismo: “Nell’èra del video si realizza la dittatura della maggioranza. Si tratta di una democrazia, o potere popolare, filtrato attraverso il video. […] La televisione commerciale ha valorizzato la maggioranza portandola prima alla ribalta del piccolo schermo attraverso i talk show, poi alla ribalta della politica attraverso il populismo. Dalla politica ai consumi l’interlocutore unico è stato per l’ultimo trentennio la maggioranza”).
E’ come un Giano bifronte, il televoto: la democrazia del clic, l’illusione del potere democratico è una finzione televisiva talmente poco affidabile da poter essere pacificamente abolita: “Ci sono i concorrenti, ci sono le loro esibizioni di ballo e di canto, le loro storie di ambizione e riscatto”, ha scritto Aldo Grasso sul Corriere della nuova edizione serale di “Amici di Maria De Filippi”, “ma l’impressione è sempre più quella che si punti molto sul contorno, sugli ospiti e il dibattito, perseguendo una tv di parola più vicina allo stile De Filippi”. E quando si parla di una tv di parola, forse togliere proprio quel diritto allo spettatore ha già il suo chiaro significato.