Dopo il lungo esilio a Hollywood, l'arte degenerata torna a stregare Berlino
Berlino. Arte degenerata ma non solo. Per il quinto anno consecutivo la Komische Oper di Berlino si impegna in un’operazione unica in Europa per la riscoperta di capolavori musicali del passato. Era il 2012 quando alla guida del teatro berlinese arrivò l’australiano Barrie Kosky, fra i pochi in grado di coniugare innovazione vera – dai cartoni animati sul palco all’impiego degli attori al posto dei cantanti, fino alle iniezioni di ritmi sudamericani nelle partiture fox-trot – con tuffi all’indietro verso la Belle Époque e il barocco. Basta sfogliare il catalogo della stagione 2016-2017 per trovare ben otto prime assolute da Rameau a Stravinskij, passando naturalmente per l’operetta, vera passione di Kosky e del suo Chefdramaturg Ulrich Lenz. I classici comprendono lo “Zoroastro”, tragedia lirica scritta da Rameau nel 1794 e “La fiera di Soroãincy” composta da Musorgskij fra il 1874 e il 1880.
Immancabile la messa in scena di due pezzi rarissimi di “arte degenerata”, la “Entartete Kunst” vietata dai nazisti perché contraria all’etica e ai valori ariani. Si tratta in gran parte di opere di autori ebrei, giunti a Berlino agli inizi del XX secolo dalla Russia e dalla Mitteleuropa. Dal suo cilindro senza fondo, quest’anno Kosky ha estratto due operette: “Le perle” di Cleopatra dell’ebreo viennese Oscar Straus, e “Marinka” dell’ebreo ungherese Emmerich Kalman. Se la prima non calca le scene berlinesi dagli anni Venti, la seconda non è mai stata ascoltata in Europa. Kalman era fuggito negli Stati Uniti con i suoi spartiti dopo l’Anschluss e a dispetto del tema strettamente europeo – il suicidio per amore del principe ereditario d’Austria Rodolfo d’Asburgo-Lorena – “Marinka” vedrà la luce nel 1945 al Winter Garden Theater di Broadway. La prima continentale dell’opera di Kalman va in scena invece a Berlino con una nuova orchestrazione il prossimo 18 dicembre.
L’avvento al potere dei nazisti decretò la fine di una frenesia teatrale alla quale avevano contribuito moltissimi autori e cantanti ebrei. Chi riuscì a scappare, tuttavia, non smise di fare musica ma portò la sua professione altrove. Fra le stelle della Berlino degli anni Venti c’erano Gittar Alpar, soprano ungherese, e la sua connazionale Rosy Barsony, cantante, attrice e ballerina. Entrambe ebree, trovarono rifugio dalla furia nazista la prima negli Stati Uniti (è morta a Los Angeles nel 1991), la seconda errando per l’Europa assieme al marito, il baritenore Oskar Denes (per alcuni anni Rosy e Oskar lavoreranno anche in Italia). Le loro voci davano corpo ai protagonisti delle opere di Kalman e a quelle di Straus che ebbero fortuna a Hollywood. “Marinka” e “Le perle” di Cleopatra sono solo due delle operette riportate a casa da Barrie Kosky. Nell’ultimo lustro il direttore ha riscoperto capolavori che mancavano dalle scene berlinesi da 80 anni. E non lo ha fatto per un vezzo nostalgico, “ma perché sono opere molto divertenti”, ebbe a dire presentando l’anno passato il ritorno in scena dello strepitoso “Ballo al Savoy” dell’ungherese Paul Abraham, scappato prima a Cuba e poi a New York.
Lo stesso Kosky ha definito l’operetta di Berlino “una combinazione unica fra musiche magiare e viennesi e il jazz berlinese, scritte quasi solo da ebrei e messe in scena al 70 per cento solo da ebrei”. Lavori brillanti dove il cabaret incontra il burlesque, la recitazione comica e i grandi balletti: il passo verso il musical di Broadway è brevissimo. Il riscontro del pubblico è formidabile: oggi comprare un biglietto alla Komische Oper non è affar semplice. “Il tasso medio di occupazione dei posti è del 90,7 per cento”, dice soddisfatta la portavoce del teatro, “ma per ‘Ballo al Savoy’ e per ‘Una donna che sa quel che vuole’ (di Straus, in cartellone dall’anno scorso, ndr) la percentuale è più alta”. Il revival delle operette “degenerate” piace al pubblico berlinese, curioso di sperimentare un salto all’indietro di quasi un secolo. Filologico, Barrie Kosky non porta sulla scena solo cantanti d’opera, ma coinvolge attori di grido e cantanti leggeri in grado di suscitare l’interesse degli spettatori tedeschi. Oggi, come ai tempi della Repubblica di Weimar.