La politica è una cosa serie
“Billions”, la serie che oppone l'one percent all'altro one percent
Il suo antagonista, in questa specie di western della finanza, è Charles Rhoades Jr., un rabbioso procuratore con due debolezze: quella privata per il masochismo e quella pubblica per i miliardari. Da quando è responsabile dell’ufficio di South New York, Chuck ha portato a processo ottantuno casi d’insider trading, senza uscirne mai sconfitto. Nessun pesce abbastanza grosso, però. Nessun successo in grado di puntellare l’inevitabile ascesa politica a cui si prepara da tutta una vita.
Chuck somiglia ad Axe molto più di quanto sia disposto ad ammettere. Chuck Sr., il patriarca impiccione, è a propria volta un investitore, e più volte ha incrociato con Axe i terminali Bloomberg. La moglie Wendy, addirittura, lavora per Axe Capital – e sono i suoi introiti sontuosi, non certo il misero salario pubblico del marito, ad assicurare alla famiglia scuole d’eccellenza e un brownstone sulla promenade di Brooklyn. Figlio dell’un per cento, marito dell’un per cento, collega dell’un per cento, Chuck assedia Axe atteggiandosi a censore dell’un per cento.
C’è un movente personale, certo: il triangolo Chuck-Wendy-Axe. C’è un appiglio culturale: la convinzione che la finanza sia un gioco a somma zero. Ma, al di là delle modulazioni geometriche e ideologiche, c’è una volontà di dominio smisurata quanto quella di chi lo circonda. Chuck proclama di voler appianare il campo di gioco, ma non disdegna di giocare la partita. Non ignora di occupare l’attico della scala sociale; semmai, rifiuta l’opinione dominante, che segmenta gli individui su base patrimoniale. Desidera il potere, più del denaro: ma sta esprimendo lo stesso concetto in una lingua diversa. E quando vuole riaffermare il proprio valore, non esita a misurare il tasso di cambio potere-denaro, ascoltando la proposta multimilionaria di uno studio legale.
Creata da Brian Koppelman e David Levien con con la partecipazione di Sorkin (non lo sceneggiatore Aaron, ma il quasi omonimo Andrew Ross Sorkin, giornalista finanziario del New York Times e autore di “Too Big To Fail”), “Billions” scivola a tratti in una bidimensionalità fumettistica, e ne esce solo grazie a un Paul Giamatti ispiratissimo. Chuck e Axe, a dispetto delle rispettive percezioni, si sfidano sullo stesso terreno, con mezzi analoghi, muovendo le stesse pedine.
C’è un tema che la serie, nonostante i presupposti, non esplora compiutamente: la legittimità dell’insider trading. Studiosi come Henry Manne hanno evidenziato che proibire gli investimenti intrapresi sulla base d’informazioni privilegiate non è solo utopistico, ma anche dannoso per l’efficienza dei mercati finanziari, perché rimanda l’adeguamento dei prezzi ai fondamentali e la diffusione delle conoscenze che questo meccanismo veicola. In nome della trasparenza, insomma, si generano delle sacche di opacità in cui solo gli operatori meno scrupolosi possono prosperare.
Va detto che l’insider trading non è l’unico peccato di Axe; e anche il più fedele spettatore libertario fatica ad affezionarsi a un personaggio un po’ sgonfio. Nell’ultima scena della prima stagione, gli sceneggiatori gli mettono in bocca una sparata impegnativa: “Tutte queste regole arbitrarie disegnate dai politici a proprio uso e consumo. E le multe dove finiscono? Ai poveri? Al governo! Sono tasse sotto altra veste.” Axe non ha il rigore di Gary Cooper de “La fonte meravigliosa”, ma nemmeno la sfacciataggine di Gordon Gekko. Denuncia l’arbitrio delle regole, ma è a quelle stesse regole che ricorre per togliere di mezzo un rivale sgradito. Politica opportunistica e capitalismo maneggione diramano dallo stesso ceppo. Il primo tempo è finito in parità. In attesa della seconda stagione, potete scegliere chi tifare: ma non illudetevi che faccia alcuna differenza.