Quelli che alla domanda: come stai?, rispondono sempre: è un disastro
Come stai?, chiede il figlio adulto alla madre giovane. Ah, oggi proprio non va, non volevo dirtelo ma sto male. Che ti senti?, insiste lui, forse non sufficientemente preoccupato. Lei: ho la febbre. Quanta febbre hai? Lei: non me la provo ma la sento, e poi ho tanti pensieri. Dopo circa mezz’ora, il figlio nota che la madre ha postato su Facebook canzoni sulla primavera, foto di fiori e di gatti, e scambi brillanti di battute con le amiche, con faccine che rotolano per le risate. La madre evidentemente è guarita, dopo avere esaudito il bisogno quotidiano di dramma.
Una necessità dell’animo, un modo, scrive il New York Magazine, di stare al mondo condividendo e ingigantendo problemi, alcune volte creandoli per il doloroso piacere di raccontarli, attirandoli con le parole, con il modo di girare attorno a una questione, a un piccolo avvenimento, con lo scopo inconsapevole di riuscire ad affermare: è un disastro. Così ci sono persone che alla domanda: come va il lavoro?, rispondono almeno una volta alla settimana: me ne andrò presto, non ne posso più. E chi non è abituato, non abbastanza in confidenza, non assiduo frequentatore di questi re e regine del dramma, le prime volte si allarma, chiede particolari, si informa e si indigna per la clamorosa offesa, per l’avvenimento drammatico di cui il nostro re è sempre protagonista, e naturalmente vittima. Nel bisogno di dramma non si fanno questioni di genere, dicono gli studiosi, c’è un’assoluta parità fra uomini e donne: l’uomo che sente tutto il peso di quel trentasette e uno di febbre, la donna convinta che tutti parlino male di lei alle sue spalle, e che su Facebook scrive sempre, nello status sentimentale: relazione complicata.
Non c’è infatti altra possibilità, per i bisognosi di dramma: la complicazione è vitale, necessaria, anzi l’unica condizione possibile, e va condivisa con il maggior numero di persone. Alla domanda distratta e priva di una reale curiosità per la risposta: tutto bene?, il drammaticista reagirà, animandosi, con particolari non richiesti su figli (quasi) scappati di casa, marito perfido e assente, denaro (quasi) insufficiente e ginocchio della lavandaia, spargendo però su ogni cosa anche un alone di mistero che faccia immaginare che c’è molto altro, molto di più, è solo che di certe cose è meglio non parlare. Non importa quanto realmente piccolo sia il problema: anche un viaggio in treno può diventare un avvenimento drammatico se c’è un po’ di ritardo o un po’ di fila alla biglietteria, o se il trolley ha una cerniera rotta o il vicino di posto è maleducato. Il re del dramma sa come trarre romanzi e negatività dai più banali contrattempi, dal normale scorrere della vita quotidiana, ed è davvero convinto della gravità e dell’originalità di ogni tassello: è certo di avere attratto, ogni volta, drammi inediti (complotti contro di lui, malattie nascoste, ingiustizie lavorative, offese da parte del fruttivendolo, disavventure stradali). Così, se il figlio fa notare alla madre che un po’ di influenza “non è un dramma”, provocherà il dramma dell’oltraggio e dell’incomprensione. E, nel caso in cui accada qualcosa di realmente drammatico, ecco una specie di trionfo, un lampo negli occhi con sottitoli luminosi: te l’avevo detto, non sono che io ho bisogno di dramma, è il dramma che ha bisogno di me.