Matilde Gioli, Fabio Fazio, Fiorello durante la puntata del 22 aprile di "Rischiatutto"

Rischiatutto, o di come la sinistra usa il passato per rifilarci roba scadente

Andrea Minuz
Il Rischiatutto di Fazio è un nuovo episodio di quella riappropriazione postuma della cultura popolare da parte della sinistra di “Che Tempo che Fa”. Una memoria collettiva riscritta all’ombra di Rai Tre.

Il concetto dominante del Rischiatutto è che i migliori sono i più ricchi e per diventare ricchi basta essere i migliori; così si esalta il merito individuale, oggetto di culto e approvazione sociale”. Arrovellandosi sulle ragioni del successo della trasmissione di Mike, L’Unità nel 1972 la buttava su lotta di classe, falsa coscienza, derive dell'individualismo. In attesa di un concorrente preparato su “dialettica e materialismo nel teatro brechtiano” i comunisti erano amareggiati: “Non sembra ci siano speranze di cambiamenti per il futuro del telequiz, se non sarà la stessa Rai a mutare struttura”. Per una volta la storia sembra dargli ragione, e come sempre si ripete due volte: la prima come tragedia, la seconda come Fazio. Non ci convince l’idea di liquidare il successo della riedizione dello storico quiz alla voce “operazione nostalgia”. Nel Rischiatutto di Fazio & Co. c’è molto di più.

 

Anzitutto, la capacità di capitalizzare una lenta ma inesorabile disaffezione del pubblico per reality e talent, di cui i produttori televisivi dovrebbero iniziare a tenere conto. Il caso del “Grande Fratello” è eclatante. Un format obsoleto per una generazione cresciuta su Facebook dove ogni giorno celebriamo quell’autofiction che dieci anni fa era ancora innovativa (il Taricone di oggi punterebbe su Snapchat e Instagram). Il talent se la passa meglio, ma sono bastati cinque minuti di Fiorello a “Rischiatutto” per ricordarci che il talento è bello anche celebrarlo, oltre che cercarlo “dal basso”. C’è poi la compattezza di un’operazione che parte da lontano. Il Rischiatutto di Fazio è un nuovo episodio di quella riappropriazione postuma della cultura popolare da parte della sinistra di “Che Tempo che Fa”. Una memoria collettiva riscritta all’ombra di Rai Tre. Come un  racconto distopico di Philip Dick, come un reboot di “Ritorno al futuro”. Fazio in piumino senza maniche e sneaker spedito nella Rai degli anni Settanta per cambiare il corso degli eventi: non è vero che la sinistra non c’ha mai capito nulla degli italiani, dateci una seconda possibilità, se è il caso vi rifacciamo anche “Drive In”, ma con garbo.

 


Fabio Fazio, dal retro dello studio, in bianco e nero, ricorda Mike Bongiorno


 

Prima di essere il remake della trasmissione di Mike, “Rischiatutto” è il sequel di “Anima Mia”, format emblema della riappacificazione della sinistra con “gli altri” anni Settanta; via falci e martello, P38 e cortei, dentro Claudio Baglioni e Cugini di Campagna. Non per nulla, lì Fazio aveva già tirato fuori Sabina Ciuffini, la “valletta parlante” di Mike. Oggi c’è Matilde Gioli. Non una “showgirl”, ma una filosofa laureata sull’Etica Nicomachea di Aristotele e musa di Virzì nel “Capitale Umano”, film che racconta il degrado morale dell’Italia e l’istinto predatorio della finanza. Non importa se la sia cavata così-così. Il Rischiatutto che forse andrà in onda su Rai Tre sarà la versione upper class dei Pacchi di Rai Uno. Anche le scenografie, più che ricordare la Rai vintage, sembravano gli avanzi di una mostra di Optical Art al Chiostro del Bramante. L’operazione si inserisce perfettamente nella strategia resistenziale di Viale Mazzini. C’era ancora l’eco degli applausi per gli Oscar della Tiburtina di Sky – ma che bravi, che ritmo, pure gli youtubers che prendono in giro Sorrentino – che la Rai si prendeva la sua personale rivincita.

 

La prima serata del Rischiatutto è stata tra le più alte negazioni dell’idea di ritmo televisivo ma ha fatto il 30,79 per cento di share con 7 milioni 537 mila telespettatori. Inutile mettersi a fare il red carpet (ci vorrebbe anche la materia prima). Non fingiamo di avere Jimmy Fallon. Lo diceva già Giuseppe Verdi, “Torniamo all’antico, sarà un progresso”. In Rai non devono neanche fare lo sforzo, tanto non ci siamo mai mossi. Don Matteo, Montalbano, Rischiatutto sono un threesome perfetto. Altro che innovazione. La quota innovazione l’abbiamo coperta col ciuffo del Direttore generale che viene da Mtv. Se guardate su YouTube qualche video del Rischiatutto degli anni Settanta, coi suoi zoom lentissimi e Mike che scandisce domande tipo “ci dica quindi da chi erano guidati i cartaginesi nel tentativo di riconquistare Panormo”, trovate commenti accalorati: “Queste sì che erano vere domande di cultura”.

 

Fazio è lì per loro. Indignados che reclamano il domandone culturale, il garbo, la lentezza, la valletta-filosofa, magari un concorrente che si presenta sulla Costituzione più bella del mondo. “Per quando Rischiatutto, com’è inevitabile, sarà troppo invecchiato”, diceva Mike Bongiorno nel ’72, “ho già in serbo alcune idee, un quiz democratico cui partecipa sia il pubblico in sala che i telespettatori, in un miscuglio tra varietà, grande spettacolo e quiz”. Noi nel frattempo ci prepariamo ad invecchiare col remake del Karaoke, il Rischiatutto di Zoro e gli articoli di Repubblica sulla nostalgia degli anni Novanta del Premio Strega Selvaggia Lucarelli.