La locandina della serie "The Good Wife"

La politica è una cosa serie

La politica perdona i politici, non le "buone mogli": come in "The Good Wife"

Massimiliano Trovato
E' la prima serie ritagliata addosso a una consorte di un politico di media statura. Il sesso, gli scandali, le ambizioni personali di una coppia di medio successo e un'attenzione non comune per il mondo delle politiche digitali.

Piccola premessa ombelicale: uno dei temi ricorrenti della rubrichina che state leggendo è lo iato tra la politica e la vita, tra soggetti di potere e oggetti di potere. Distanza sublimata, magari, nel contatto fisico o nell’invocazione diretta e, proprio per questo, più immediatamente percepibile. Questa volta ci occupiamo di una serie ritagliata addosso alla brava consorte di un politico di media statura. Quel distacco sembra azzerarsi per Alicia, costantemente impegnata ad appianare le oscillazioni che il meno bravo marito provoca alla sua reputazione. Essere la moglie del governatore dell’Illinois ha i suoi momenti; essere la moglie di un ex procuratore in disgrazia è un po’ meno vantaggioso.

 

Chris Noth – il Mr. Big di “Sex and the City” – interpreta Peter Florrick, un classico Mr. Big Government democratico, prestato alla giustizia sulla strada della politica. Peter amministra nell’unico modo in cui si può amministrare, specialmente in una città come Chicago: sollecitando e dispacciando favori; ma è la difficoltà a tenere i pantaloni allacciati a decretarne la caduta. Pensate a Blagojevich, con una generosa spruzzata di Eliot Spitzer. Tante scuse alla moglie, ai figli, tanto pentimento sincero: le cose che si dicono. Lo scandalo gli costa la galera. Quando ne esce, affida la propria resurrezione politica al burbanzoso Eli Gold – menzione d’onore per un personaggio di spin doctor il cui unico eccesso è il linguaggio colorito: niente idealismo stucchevole, niente delitti di sangue. Florrick riguadagna il terreno perduto: si riprende l’ufficio di procuratore distrettuale, poi quello di governatore.

 


Il trailer della serie "The Good Wife"


 

Alicia, nel frattempo, non si accontenta di portare la maschera della cornuta con dignità. Rilancia la propria carriera di avvocato – accantonata per i figli e per l’ingrato puttaniere – sempre attenta a preservare le apparenze di un matrimonio finito da anni e, tuttavia, in qualche modo obliquo, ancora dotato di senso. A un certo punto, la brava mogliettina decide di mettersi in proprio anche elettoralmente. Punta alla carica che fu del marito e la conquista, salvo esserne estromessa con imbarazzo dopo poche settimane per ragioni di stato – anzi, di partito. Una vicenda edificante: non solo non è previsto alcun risarcimento per i costi (umani) della politica, ma, soprattutto, non basta portarne i segni sulla pelle per imparare a navigarla. “The Good Wife”, però, riserva il meglio nella propria dimensione procedurale, quando passa dalla politica alle politiche. I casi che gli avvocati della serie affrontano di settimana in settimana riguardano temi di grande attualità, normalizzati e resi rilevanti dall’interazione drammatica: Occupy Wall Street, l’interventismo degli Stati Uniti negli affari mondiali, il Secondo emendamento.

 

Tanto quanto la politica come gioco di società è astratta, le politiche come azione concreta interferiscono direttamente con i progetti di vita degli assistiti di Alicia e dei suoi colleghi e rivali. Il meccanismo è eseguito alla perfezione quando le vicende virano verso l’area delle politiche digitali – il catalogo è impressionante. “The Good Wife” è stata la prima serie a occuparsi di Bitcoin. Chumhum, un motore di ricerca che ricorda da vicino il vostro motore di ricerca, è tra i clienti più preziosi che Alicia e soci si rimpallano per le emergenze più disparate: dal riconoscimento automatico delle immagini, che confonde neri e animali (un caso realmente accaduto, come molti altri nella serie) all’effetto delle recensioni degli utenti sui profitti dei locali recensiti – qualcuno a Bruxelles sta prendendo appunti. Il diritto d’autore ha molto spazio: musicisti che fanno causa a studi cinematografici e case discografiche che fanno causa a musicisti.

 



 

Ci sono i droni per uso civile e le connesse questioni di privacy; ci sono le auto senza guidatore e le connesse questioni di responsabilità. C’è Anonymous, che fornisce ad Alicia materiale su un supposto stupratore. Ci sono le pistole fatte in casa con la stampa 3D. C’è la diffamazione 2.0 e il presunto cartello della Silicon Valley. C’è la sorveglianza dei paesi autoritari (con il sostegno delle aziende tecnologiche) e quella dei paesi democratici (con o senza il sostegno delle aziende tecnologiche). Ogni questione è affrontata con attenzione alle sfumature, gli argomenti pesati con studiata cautela. La NSA, per esempio, è presentata come un covo di smanettoni che si affezionano alle proprie cavie e passano la giornata a scambiarsi video di animali buffi: i sorveglianti sono umani, ma non per questo meno pericolosi. “The Good Wife” non nasconde i propri punti di vista, ma li mantiene in equilibro con un’onesta funzione didattica. Ora che la serie si approssima all’epilogo – l’ultimo episodio andrà in onda domenica – chi ci spiegherà il mondo in cui viviamo? Qualche giorno fa, il capo della Rai Campo dell’Orto ha annunciato il lancio di un segmento quotidiano per la popolarizzazione del digitale, “attraverso il linguaggio di Don Matteo”. Ogni paese ha gli evangelisti che si merita.


 

Il trailer che anticipa l'ultima puntata della serie