Meglio vedove che sposate, dice una ricerca. Ma la colpa non è del matrimonio
Il matrimonio è una tomba affollata: oltre all'amore, seppellisce forza, mondanità e salute femminili. Inferenza un po' acrobatica, ma efficace, suggerita da una ricerca – e, soprattutto, dalla sua lettura giornalistica – sulla vedovanza, condotta dal dipartimento di Geriatria dell'Università di Padova, in collaborazione con l'Istituto di neuroscienze del Cnr. Lo studio, condotto per quattro anni su un variegato ma ristretto gruppo di ultra sessantacinquenni (vedove, vedovi, sposate e sposati), ha fatto emergere che le donne reagiscono molto meglio degli uomini, sulla lunga distanza, alla scomparsa del coniuge: i vedovi perdono peso e tono muscolare, si infiacchiscono e deprimono, mentre le vedove, si legge sulla Stampa, sono "più attrezzate contro debolezza e depressione" e "la ricerca ovviamente non lo dice, ma piace pensare che si siano liberate dall'ossessione della dieta" (piace pensare: un nuovo metodo per stabilire corollari parascientifici). Soprattutto, la vedovanza libererebbe le donne dal fardello della cura del compagno, che secondo Caterina Trevisan, timoniera della ricerca, è "stressante, restrittiva e frustrante".
La Stampa ha corredato la notizia con un'intervista a Maria Rita Parsi, psicoterapeuta da poco in libreria con "I maschi sono così. Penelope si è stancata", secondo la quale "essere una moglie è un impegno a tempo pieno che risucchia le energie di una donna", perché "mentre un uomo ha il tempo di rilassarsi, a una donna non viene mai concessa una vacanza" e quindi la morte del marito consente di "riappropriarsi della propria vita e pensare al proprio benessere". Confrontando lo stato di salute, la gaiezza, la serenità e l’attivismo delle vedove e delle sposate, inoltre, si è pervenuti alla schiacciante vittoria delle prime sulle seconde, queste ultime acciaccate da un lavoro da cui, a quanto pare, non si va mai in pensione: l’amore coniugale, che i mariti coniugherebbero all’incirca come saprofitismo.
La ricerca dimostra che siamo ancora lontani dal poter stabilire con certezza se la dipendenza maschile dall’assistenza femminile dipenda da un fattore meramente culturale o sia culturale che biologico: probabilmente, solo indagare le generazioni future, quelle che oggi costruiscono la propria famiglia attingendo esclusivamente alle regole dell'ingegneria dell'equità, consentirà di chiudere il cerchio - e, altrettanto probabilmente, di ribaltare tutto (anche perché la vedovanza delle generazioni future porrà in oggetto pure i matrimoni omosessuali, dove la simbiosi tra efficienza femminile e disadattamento maschile sarà impossibile per evidenti ragioni logistiche).
L'allegrezza delle vedove è un topos letterario e culturale consolidato: Piccarda che beffa il parroco nel Decameron di Boccaccio; Rosaura Lombardi che gioca con ben quattro pretendenti ne "La vedova scaltra" di Goldoni; la matrigna di Cenerentola che dilapida il patrimonio del defunto marito; Yoko Ono, avversata da mezzo mondo come la sola che ha beneficiato dello scioglimento dei Beatles prima (per molti persino sua responsabilità) e della morte di John Lennon dopo.
"Lui era convinto che una vedova sconsolata, più di qualsiasi altra donna, potesse portare dentro di sé il seme della felicità", pensava Florentino Ariza, il protagonista di "L'amore ai tempi del colera" di Gabriel Garcia Marquez, che trascorse tutta la vita nei letti delle altre, aspettando che la sola donna da lui davvero amata, Fermina Daza vedova di un dottore, gli dicesse di sì e convinto che non ci fosse ragione per cui anche lei non si dimostrasse "una vedova uguale alle altre, decisa a scoprire con lui l'altra felicità di essere felice due volte".
Ad alimentare questo topos letterario non ci sono state ricerche scientifiche, né tantomeno la volontà di un affondo al matrimonio, perché la vedova allegra è servita a beffeggiare la morte con la malizia e non con i superpoteri, le attività paranormali, gli eroismi bellici, l'epica. La vedova allegra ha rappresentato anche un tributo alla strepitosa simpatia che lega le donne alla solitudine: una simpatia che la ricerca padovana ci costringe a leggere come reazione alla schiavitù matrimoniale, mentre la letteratura, che non sarà scienza ma vaticinio lo è senz'altro, ha sempre e solo voluto suggerirci come fierissimo, prezioso carattere femminile.